Simone Somekh racconta l’ebraismo ultraortodosso
Esordio Il romanzo di Simone Somekh al centro dell’incontro all’Arcadia Scritto a soli 21 anni, narra di un giovane ebreo ortodosso che vive a New York
«S i sentì uno schianto ed io ero solo nella macchina, ma non mi feci nulla perché a ferire in questo mondo non sono gli incidenti ma le persone con le parole e le loro stupide idee». Questa riflessione, che apre il romanzo, non scivola via senza lasciare traccia. Svela inoltre le coordinate di
Grandangolo (Giuntina, 2017), il libro di esordio di Simone Somekh che lunedì 8 alle 19 inaugurerà quello che si preannuncia come un altro anno denso di eventi alla libreria Arcadia di Rovereto. A formulare quel pensiero è il protagonista della narrazione Ezra Kramer, uscito miracolosamente illeso dall’incidente di cui all’indomani tutta Brighton avrebbe parlato. Ne avrebbe parlato perché Ezra è un adolescente «che aveva rubato e distrutto la macchina del padre alle tre del mattino». Con alcune sintetiche pennellate, Somekh conduce il lettore a conoscere l’ambiente di appartenenza del ragazzo. A commentare l’accaduto, tra gli altri, sarebbero stati «Judy Franzman della pasticceria kashèr, Binyomin Fischer con sua moglie, papà e mamma col rabbino».
Appartenente a una comunità ultraortodossa, il giovane ebreo Ezra Kramer ha un’innata passione per la fotografia, che va di pari passo con il suo percorso di scoperta ed emancipazione — religiosa e sessuale — attraverso mondi diversi e lontani. Dalla comunità ultraortodossa di Brighton approderà alla New York dell’alta moda, quindi alla primavera araba in Bahrein, fino alla trasgressiva e libera Tel Aviv. Lo farà quasi inseguendo il deliberato obiettivo di prendere le distanze dal mondo in cui è nato, per concludere la sua ricerca proprio in quello stesso mondo, con «la sensazione che Israele fosse una seconda casa che aveva a lungo ignorato».
Simone Somekh è nato a Torino nel 1994. Ha vissuto in Italia, Israele e negli Stati Uniti, dove lavora come giornalista. Per approfondire i temi del suo romanzo l’abbiamo raggiunto telefonicamente in Brasile, dove si trova in questi giorni. Da qui raggiungerà poi Rovereto per la presentazione del libro.
Somekh, Ezra Kramer non avrebbe potuto conoscere se stesso e il mondo senza andarsene dalla comunità di Brighton. Il viaggio inteso come confronto è per il protagonista la dimensione necessaria per crescere?
«Il filo conduttore della narrazione è appunto il concetto di viaggio inteso non in senso fisico ma come esplorazione, seguendo l’idea che solo guardando “fuori” si possa vedere meglio anche dentro di sé. Un romanzo dalle diverse prospettive, in cui lo sguardo cambia di capitolo in capitolo. Come in un quadro impressionista, in cui lo stesso paesaggio muta con il trascorrere della luce, Ezra non solo cambia, ma percepisce le sue trasformazioni nel momento in cui le vive».
La citazione del nostro incipit «in questo mondo a ferire non sono gli incidenti, ma sono le persone con le loro parole e le loro stupide idee», torna in un altro momento centrale del romanzo. Perché questa sottolineatu- ra?
«Si tratta di una frase che intende porre l’attenzione su due elementi fondamentali della narrazione. Innanzitutto sul fatto che il protagonista è molto giovane, non sempre maturo, impetuoso, un po’ aggressivo, carico di rabbia adolescenziale. L’altro aspetto che ho cercato di far emergere è una sorta di avviso: attenzione è un romanzo che si occupa di scontri fra idee diverse, di persone che scelgono vite differenti, le cui parole possono ferire gli altri. Volevo schiudere uno scenario di incontro/ scontro tra le diverse ideologie».
Grandangolo: a un certo punto il protagonista fa notare ai genitori che loro guardano alla realtà come utilizzassero questo strumento. Con quali conseguenze?
«Il senso è che pur di allargare gli orizzonti, i genitori hanno permesso che la vista degli oggetti in primo piano venisse deformata. Ho iniziato a scrivere il libro avendo già chiara l’idea di “grandangolo” come titolo, una scelta che istituisce un immediato legame con la passione del protagonista per la fotografia. Per alcune fotografie fatte alla sorella di un compagno di scuola, del resto, Ezra viene addirittura espulso dal liceo».
Aveva solo 21 anni quando ha iniziato a scrivere il romanzo. Come le è venuta l’idea di questa storia?
«La genesi e tutta la parte iniziale sono frutto dell’ispirazione offertami da uno dei miei luoghi preferiti al mondo: le Dolomiti. Sin da bambino, con la famiglia durante l’estate trascorrevo le vacanze ad Alba di Canazei, ed è qui che facendo degli esperimenti con la fotografia ho pensato a una storia che raccontasse lo scontro tra identità e idee diverse. La fotografia rappresenta una valida metafora per raccontare tutto ciò. Al pari di altre arti ha infatti la capacità di dare forma visiva a concetti complessi».
Perché in Bahrein Ezra riscopre il valore della propria religione, dalla quale aveva cercato di prendere le distanze da anni?
«Credo che a volte si tenda a dare tutto per scontato, e in particolare i nostri diritti. Trovarsi in un luogo che limita la nostra libertà fa aprire gli occhi sul valore delle cose. A New York per Ezra era stato facile dimenticare le sue radici; ma a Manama, a pochi chilometri di distanza dall’Arabia Saudita e dall’Iran, si ricorda che la sua identità va protetta e conservata. Dopo molti anni, il ritorno in Israele lo fa sentire legato alla sua religione, al suo mondo. Vuole sentire di essere ebreo».
Dolomiti La genesi e tutta la parte iniziale sono frutto dell’ispirazione offertami da uno dei miei luoghi preferiti, ossia Alba di Canazei