IL GIOCO PERVERSO DELLE IDEE FALLITE
Recentemente si è tornati a parlare di piazzale Sanseverino come di un possibile luogo in cui collocare attrezzature universitarie. Un’altra proposta, l’ennesima. Una sorta di «gioco» perverso in cui l’eccesso di democrazia e l’assenza di scelte autorevoli fanno in modo che si possa cambiare idea almeno ogni due anni, generando solo confusione. Il piazzale, per la cronaca, ha già visto una serie di fallimenti d’autore: dalla biblioteca di Botta al mancato boulevard. Temo però che la «condanna» a rimanere parcheggio (nobile funzione in tempi di dominio dell’automobile) resterà ancora tale per diversi anni, soprattutto considerando la radicata abitudine cittadina a vedere nel piazzale un necessario approdo a due passi dal centro.
Né prima — quando Botta ipotizzò la biblioteca — né ora, si è tuttavia mai pensato a un simile ampio spazio come a uno degli elementi cardine delle dinamiche urbane, tra i più problematici nel rapporto entrate e uscite dalla città. Un luogo che si relaziona inoltre con ferrovia, università, fiume Adige, quartiere Albere.
Qualsiasi scelta potrà essere presa su Sanseverino, pertanto, non potrà prescindere da una visione d’insieme, contro la parzialità di scelte frammentarie che hanno creato solo danni. Si dovrà valutare il tema della viabilità, capire come risolvere la strozzatura del sottopasso ferroviario attiguo, garantire continuità a un possibile sistema pedonale, salvare i posti auto, costruire una piazza attrezzata dove ora non c’è. Una piazza che può contenere più funzioni data l’ampiezza della superficie, accogliere anche sale polivalenti e spazi per i giovani, oltre che per gli studenti, in un processo di integrazione ateneo-città che langue, nonostante i molti tentativi di animarlo.
Nessun progetto però potrà mai vedere la luce su piazzale Sanseverino — come altrove, del resto — se la logica sarà sempre la stessa: decidere di non decidere, aspettando che accada qualcosa. Siamo di fronte a una «malattia» endemica che si è impossessata, in Italia come in Trentino, dell’apparato pubblico e che impedisce anche solo di sognare di poter ancora voltare pagina attuando progetti necessari alla vitalità delle città e delle economie locali. La malattia va curata con la giusta dose di idee e accompagnata dalla convinzione di volersi riappropriare di uno spazio strategico per il futuro del capoluogo. Altrimenti assisteremo a un altro fallimento urbanistico