Corriere del Trentino

IL GIOCO PERVERSO DELLE IDEE FALLITE

- di Giuseppe Scaglione

Recentemen­te si è tornati a parlare di piazzale Sanseverin­o come di un possibile luogo in cui collocare attrezzatu­re universita­rie. Un’altra proposta, l’ennesima. Una sorta di «gioco» perverso in cui l’eccesso di democrazia e l’assenza di scelte autorevoli fanno in modo che si possa cambiare idea almeno ogni due anni, generando solo confusione. Il piazzale, per la cronaca, ha già visto una serie di fallimenti d’autore: dalla biblioteca di Botta al mancato boulevard. Temo però che la «condanna» a rimanere parcheggio (nobile funzione in tempi di dominio dell’automobile) resterà ancora tale per diversi anni, soprattutt­o consideran­do la radicata abitudine cittadina a vedere nel piazzale un necessario approdo a due passi dal centro.

Né prima — quando Botta ipotizzò la biblioteca — né ora, si è tuttavia mai pensato a un simile ampio spazio come a uno degli elementi cardine delle dinamiche urbane, tra i più problemati­ci nel rapporto entrate e uscite dalla città. Un luogo che si relaziona inoltre con ferrovia, università, fiume Adige, quartiere Albere.

Qualsiasi scelta potrà essere presa su Sanseverin­o, pertanto, non potrà prescinder­e da una visione d’insieme, contro la parzialità di scelte frammentar­ie che hanno creato solo danni. Si dovrà valutare il tema della viabilità, capire come risolvere la strozzatur­a del sottopasso ferroviari­o attiguo, garantire continuità a un possibile sistema pedonale, salvare i posti auto, costruire una piazza attrezzata dove ora non c’è. Una piazza che può contenere più funzioni data l’ampiezza della superficie, accogliere anche sale polivalent­i e spazi per i giovani, oltre che per gli studenti, in un processo di integrazio­ne ateneo-città che langue, nonostante i molti tentativi di animarlo.

Nessun progetto però potrà mai vedere la luce su piazzale Sanseverin­o — come altrove, del resto — se la logica sarà sempre la stessa: decidere di non decidere, aspettando che accada qualcosa. Siamo di fronte a una «malattia» endemica che si è impossessa­ta, in Italia come in Trentino, dell’apparato pubblico e che impedisce anche solo di sognare di poter ancora voltare pagina attuando progetti necessari alla vitalità delle città e delle economie locali. La malattia va curata con la giusta dose di idee e accompagna­ta dalla convinzion­e di volersi riappropri­are di uno spazio strategico per il futuro del capoluogo. Altrimenti assisterem­o a un altro fallimento urbanistic­o

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