«Sciatori di montagna», dodici grandi protagonisti
Il libro del docente-alpinista Daidola: «In questa raccolta di storie c’è un ritorno alle origini»
Per Wilhelm Paulcke significava esplorazione, voglia di scoperta ma anche di performance mai tentate prima. In Marcel Kurz ha incarnato la riscoperta delle Alpi, lenta, segnata dal piacere dell’ospitalità dei classici rifugi alpini. Con Piero Ghiglione ha dato forma a un senso inedito dell’esplorazione. A ognuno il suo «ski spirit», si tratti del pioniere dello sci di montagna, del principale ispiratore dello scialpinismo classico o del precursore dei viaggi con le pelli di foca. A ognuno il suo modo di intendere gli spazi bianchi, le salite e le discese. Comune denominatore, l’etica della montagna by fair means, con mezzi propri, non meccanici. Sono questi gli Sciatori di
montagna di Giorgio Daidola (Mulatero editore, 2017), «dodici primi attori sulla scena della montagna» come scrive Leonardo Bizzaro, giornalista trentino di Repubblica e curatore della collana «Radici» per la casa editrice piemontese, di cui l’ultima fatica letteraria di Daidola, scialpinista, docente al dipartimento di economia dell’università di Trento, già direttore della Rivista della
montagna e di Dimensione sci, è il primo volume. Di loro l’autore racconta la vita, le imprese e soprattutto l’influenza su chi ha calzato gli scarponi dopo di loro, l’«eredità sulle nevi del mondo» che hanno lasciato. Dalla prima traversata delle Alpi in solitaria, anno 1933, 2.000 chilometri con gli sci ai piedi, 58.500 metri di dislivello, 90 giorni di avventura (Léon Zwingelstein) alla prima salita — ovviamente con gli sci — fino a 7.250 metri del Baltoro Kangri/Golden Throne nel Karakorum (Ghiglione).
Dodici ritratti dentro ai quali Daidola ha sempre inserito la sua vita sulle nevi e nei quali ha voluto in qualche modo declinare «una matrice unica dello sci — spiega — quello dei grandi spazi aperti, delle traversate dei deserti di neve e di ghiaccio, ma anche quello delle montagne impervie e delle discese adatte a tutti: nella misura in cui si è capace di viverlo con lo ski spirit, tutto è grande sci». Mettersi sulle tracce dei grandi scialpinisti del passato (oltre ai personaggi già citati, anche Lunn, Parmentier, Preuss, Mezzalama, Castiglioni, Gobbi, Traynard, Holzer) fa nascere un auspicio per i cultori delle pelli di foca di oggi: «Spero si rendano conto che la loro pratica ha avuto dei precursori — ammette Daidola — che le hanno dato un contenuto più profondo di quello essenzialmente sportivo». Uomini per cui lo scialpinismo non è stato solo passione o avventura, ma filosofia di vita. Una Weltanschauung che trova nel ritorno alla «dimensione orizzontale» il suo punto di partenza, ma anche, «seguendo il cerchio magico di Chatwin», di arrivo: «La storia dello sci moderno è iniziata con Fridtjof Nansen e la sua traversata in sci della Groenlandia nel 1888 — ricorda Daidola — in questa raccolta di storie vedo un ritorno alle origini, a Nansen dunque: dopo l’orgia dello sci verticale ricompare la dimensione orizzontale ma amplificata dello sci che ha sempre affascinato i veri sciatori di montagna».