PARTECIPAZIONE ROTTAMATA
Dei tre segretari dei principali partiti del centrosinistra autonomista impegnati ad assemblare il mosaico delle candidature per le elezioni politiche, nessuno è al riparo dal conflitto di interessi. Franco Panizza (Patt) è seduto al tavolo della coalizione e tratta per la sua ricandidatura al Senato nel collegio di Trento, Tiziano Mellarini (Upt) cerca spazio nel collegio di Rovereto dopo tre mandati da assessore provinciale, Italo Gilmozzi (Pd) tenta di far quadrare le ambizioni dei suoi e quelle degli alleati con lo sguardo rivolto alle provinciali e, soprattutto, al dopoAndreatta nel capoluogo. È una situazione al limite che però restituisce un’immagine veritiera di ciò che sono oggi i partiti. O meglio, di ciò che non sono più.
La carica di segretario può essere una leva di affermazione dei propri obiettivi o un presidio di controllo sui ruoli politici (e sociali). Perché, in fondo, i partiti non indirizzano più la politica, non configurano la piattaforma programmatica e ideale e la sua traduzione amministrativa. Per quello ci sono gli organi di governo che rivendicano, come nel caso del presidente Rossi, anche una parola sulla composizione delle candidature. Che la politica arranchi nel rapporto con la società lo si comprende anche dal dibattito per la designazione dei futuri parlamentari. Si è sviluppato tutto internamente al ceto politico, senza aperture, e persino chi ha l’onere di ricostruire una presenza, come Forza Italia, si rivolge ai cavalli del passato perché nel tempo coevo ogni connessione sentimentale, anche con il mondo produttivo, si è smarrita. Il Pd, poi, è una contraddizione vivente. Nel dicembre 2012 l’allora segretario Bersani organizzò delle «parlamentarie» per dare un minimo di legittimità ai candidati, anche perché la legge elettorale prevedeva solo listini bloccati. Dopo cinque anni nell’ingranaggio della rottamazione violenta deve essere finita pure la partecipazione, perché tutto è stato ricondotto alla segreteria di Renzi con elenchi di fedelissimi pronti a essere licenziati.
La democrazia resiste nei suoi aspetti procedurali ma si sta vertiginosamente svuotando in quelli sociali e partecipativi. La prigione del ruolo e lo spasimo individualista anestetizzano l’urgenza di risposte radicali spingendo perfino le coscienze politiche più evolute a proporre minuterie di potere. Il Movimento 5 stelle, con una congerie di nozioni da strada, ringrazia e incassa.