Messner avverte: «La montagna riserva sempre dei rischi ma gli escursionisti rimangono una nicchia preziosa da curare»
Reinhold Messner, leggenda vivente dell’alpinismo, ammette di non essere un amante delle ciaspole. «Io preferisco muovermi con gli scarponi e basta, ma non intendo demonizzare chi le utilizza o chi, in generale, vive la montagna in inverno in modi diversi da chi scia sulle piste». C’è, secondo lei, un problema di scarsa conoscenza dei rischi?
«Certo, ma non riguarda solo chi si sposta con le racchette da neve. Questo muoversi in montagna fa parte della nostra cultura e va preservato, ma bisogna far capire agli alpinisti cosa implica spostarsi nella natura selvaggia». Impresa non facile, vista anche la renitenza di certi escursionisti.
«Penso che le associazioni e gli stessi negozianti che vendono le attrezzature possano avere una responsabilità positiva su questo, e magari in alcuni
casi colmare delle lacune importanti tra gli alpinisti. In generale bisogna far passare il messaggio che la montagna “selvaggia” può sempre riservare dei pericoli».
Le valanghe sono un rischio concreto anche per chi compie escursioni semplici tra i boschi?
«Purtroppo sì, anche questo è un aspetto sottovalutato eppure la logica è molto elementare: se dalla cima si verifica un distacco molto ampio, talmente esteso da lambire il bosco a quote più basse, vengo travolto anche io. Questo è un punto importante, ma io non sono per vietare, sono per dare le conoscenze giuste a tutti e far capire meglio rischi e attenzioni che occorre avere». In tanti utilizzano le racchette da neve senza aver mai sciato.
«Non c’è da meravigliarsi. I costi sempre più insostenibili dello sci
alpino rappresentano una crescente ingiustizia per chi ama la montagna. Non voglio dare la colpa agli impiantisti, ma dico che a questo punto tutte quelle persone che ripiegano sulla montagna invernale a piedi o comunque al di fuori delle piste sono un patrimonio di appassionati che va salvaguardato e va curato». Pensa sia una nicchia importante?
«Assolutamente. Ma quando dico che bisogna curarla intendo anche trasmettere quella cultura necessaria che permetta di affrontare la natura con consapevolezza, sapendo che una minima percentuale di rischio c’è sempre. Per contro penso anche che bisognerebbe dare a tutti la possibilità di sciare e di imparare, e su questo ho tante idee in testa sulle quali intendo lavorare».