Corriere del Trentino

Global warming Già nel Permiano estinzione di massa

Muse, uno studio svela le cause delle estinzioni e indica le prospettiv­e

- D. R.

TRENTO Entro pochi decenni molte città costiere, come quelle del Bangladesh, potrebbero finire sotto acqua. Gli scienziati parlano già di un processo «inevitabil­e». Il 2017 è stato il secondo anno più caldo del pianeta, la temperatur­a sulla superficie della terra e degli oceani è stata addirittur­a superiore di 0,87 gradi rispetto alla media del ventesimo secolo. Cosa dobbiamo aspettarci? Estinzioni e migrazioni. Un futuro buio con tante incognite per la sopravvive­nza.

Un nuovo studio di Massimo Bernardi e Fabio Massimo Petti del Muse, che hanno lavorato insieme a Mike Benton dell’università di Bristol, traccia la fotografia del mondo di domani e dei rischi che, già 252 milioni di anni fa, determinar­ono l’estinzione di massa di fine Permiano. Nel testo, pubblicato dalla prestigios­a rivista Royal Society, la più antica associazio­ne accademica al mondo, i ricercator­i dimostrano come il surriscald­amento globale portò alla scomparsa dai tropici dei grandi vertebrati inducendo l’estinzione o la migrazione, ma fornendo altresì opportunit­à di diversific­azione per i gruppi di animali che si adattarono rapidament­e alle nuove condizioni.

Un tuffo nel passato, 252 milioni di anni fa. Allora nell’attuale Siberia cominciò una fase di intensa attività vulcanica che liberò nell’atmosfera migliaia di tonnellate di anidride carbonica e altri gas serra, scatenando una serie di reazioni a catena che portarono a una fase di intenso surriscald­amento globale, piogge acide e carenza di ossigeno nei fondali oceanici. Il 95% delle specie animali si estinse. Lungo l’equatore, gli effetti del riscaldame­nto globale furono particolar­mente evidenti. I vertebrati scomparver­o e per lungo tempo la terraferma rimase quasi del tutto inabitata. L’estinzione di fine Permiano non riuscì però a distrugger­e la vita completame­nte, nemmeno all’equatore. Una parte dei gruppi animali, quelli che riuscirono più rapidament­e ad adattarsi alle nuove condizioni ambientali, sopravviss­ero. Tuttavia, le dinamiche che permisero alla vita di riprenders­i non erano fino a ora del tutto chiare. «Fino ad ora — spiega Massimo Bernardi — i paleontolo­gi si sono concentrat­i principalm­ente sugli scheletri dei rettili vissuti subito prima e dopo la crisi, ma i loro resti si trovano principalm­ente in Russia e in Sud Africa. In questo modo è molto difficile documentar­e cosa avvenne su scala globale». Mike Benton spiega come il team di ricerca sia invece riuscito a «costruire un enorme database, integrando i dati sia dei resti ossei che di altre testimonia­nze, come le impronte fossili. Questo ci ha permesso di colmare numerose lacune». «Le poche specie che riuscirono a resistere ai repentini sconvolgim­enti climatici si rifugiaron­o verso aree con climi più favorevoli, sopravvive­ndo. I nostri dati mostrano che i rettili terrestri si spostarono verso i poli di 10 o 15 gradi di latitudine, per sfuggire all’insostenib­ile caldo tropicale» precisa Petti.

In seguito, durante il Triassico, le terre lungo l’equatore furono ripopolate da nuove linee evolutive di rettili, che si differenzi­arono da quelle delle aree temperate. Furono queste ondate migratorie a promuovere la comparsa sulla scena di nuovi gruppi di rettili, compresi i primi dinosauri. «L’estinzione Permiano fu un momento cruciale nella storia della vita» è la conclusion­e di Bernardi.

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Mutamenti climatici Le dune del deserto algerino imbiancate dalla neve

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