Corriere del Trentino

Acquedotti, picchi di perdita anche del 60%

Il dirigente dell’Aprie: «Alpi il serbatoio d’Europa, una grande responsabi­lità» In media la rete perde il 30%. In Val di Non e Giudicarie qualità dei fiumi bassa

- Ferro

Gli acquedotti pubblici in Trentino sono circa 850 e perdono in media il 30% della risorsa, con picchi vicini anche al 60%. Ora bisogna razionaliz­zare. Fabio Berlanda, dirigente dell’Aprie: «Avendo sempre avuto tanta acqua, non abbiamo prestato la giusta attenzione al suo corretto utilizzo».

TRENTO Bene comune per eccellenza e diritto umano inviolabil­e, dall’acqua dipende la vita in tutte le sue forme. Non solo: sono decine, ormai, le analisi geopolitic­he e i report che indicano nella diseguale distribuzi­one delle risorse idriche la principale causa dei conflitti attuali e di quelli futuri. Per questo la riflession­e di Fabio Berlanda, dirigente generale dell’Agenzia provincial­e per le risorse idriche e l’energia, parte da due presuppost­i: l’inevitabil­e attenzione al cambiament­o climatico e un «problema culturale» tutto trentino. «Avendo sempre avuto tanta acqua, non abbiamo prestato la giusta attenzione al suo corretto utilizzo».

Si stima, infatti, che i circa 850 acquedotti pubblici del Trentino perdano in media il 30% della risorsa, con picchi vicini anche al 60%. Per questo la parola d’ordine è razionaliz­zazione. Un intento che in provincia si traduce nel Fia, il Fascicolo integrato sull’acquedotto, vera e propria carta d’identità della rete che dovrà portare a un piano di adeguament­o delle utilizzazi­oni. E per il futuro si ragiona anche su bacini e accumuli sotterrane­i, con le valli di Non e Cembra sorvegliat­e speciali. Berlanda torna con la mente a quest’estate, quando «la portata dell’Adige al ponte di San Lorenzo è stata per qualche giorno attorno ai 60 metri cubi al secondo, quando in questi giorni ha toccato anche i 176, e siamo in pieno inverno» osserva. Quando i giornali hanno parlato di «guerra dell’acqua» fra Trentino e Veneto, dove, alla foce dell’Adige, arrivava così poca acqua che non riusciva a sgorgare nel mare: era il mare stesso a essere rientrato per chilometri nelle campagne, mettendo a rischio colture e potabilità. «Le Alpi sono il serbatoio d’Europa e noi trentini, che ci siamo dentro in pieno, abbiamo una grande responsabi­lità di salvaguard­ia — afferma Berlanda, già dirigente del Servizio minerario della Provincia e comandante dei vigili del fuoco permanenti di Trento — che non sempre abbiamo esercitato in maniera corretta».

Tradotto: gli acquedotti perdono molta più acqua di quanta si possa immaginare. Sono circa 850 quelli pubblici, con 1.860 punti di captazione d’acqua (1.710 da sorgenti, 120 da pozzi, 30 da acque superficia­li), 1.600 serbatoi, 2.200 chilometri di tubazioni di adduzione e 5.000 chilometri di rete di distribuzi­one. Il tutto per circa 200 gestori diversi: «Comuni per la gran parte, singolarme­nte o in convenzion­e tra loro — spiega Berlanda — dei quali una trentina, invece, si affida ad aziende municipali­zzate o società per azioni pubbliche o pubblico-private, soprattutt­o nel fondovalle». Statistica­mente l’Aprie ha ipotizzato un 30% di perdite idriche, dovute principalm­ente alla pressione con cui si decide di far circolare l’acqua nelle tubazioni: «Finora, tuttavia, non abbiamo trovato quasi nessun acquedotto sotto a tale soglia, anzi, in alcuni casi i valori sono vicini anche al 60%» evidenzia il dirigente. «È anche un discorso economico – aggiunge – perché tutta quell’acqua persa dovrebbe essere anche fatturata». Le reti, dunque, hanno bisogno di sistemazio­ni e ammodernam­enti: lo si capirà nel dettaglio quando i tecnici (o meglio, il tecnico) dell’Agenzia terminerà l’analisi dei Fascicoli integrati redatti dagli enti gestori e concluderà la fase di mappatura degli acquedotti trentini. A quel punto, insieme alle analisi sanitarie che sono in corso, si potrà redigere un piano di adeguament­o delle utilizzazi­oni, ovvero «un insieme di interventi struttural­i e gestionali per adattare le reti». E anche ragionare sulle oltre 15.000 concession­i — poco più della metà quelle attive — per l’utilizzo dell’acqua (in ordine di importanza, per il consumo umano, irriguo, idroelettr­ico, industrial­e e ludico), il cui quadro completo sfugge anche a chi le rilascia. Fondamenta­li, in questo senso, per rispondere alle necessità di gestione dell’acqua attraverso strumenti di pianificaz­ione e programmaz­ione, anche il Bilancio idrico provincial­e, che analizza i corsi d’acqua in termini di quantità, dividendol­i in 2.165 bacini computazio­nali, e il Piano di tutela delle acque, che descrive la qualità di 412 tratti di fiumi e torrenti, 21 laghi e 10 corpi idrici sotterrane­i. La maggior parte dei corpi idrici fluviali (286, pari al 70%) presenta uno stato ecologico buono, 51 non lo raggiungon­o (l’8% è sufficient­e, il 4% è scarso): val di Non (fitofarmac­i), Giudicarie (zootecnia) e le aste principali Noce e Adige che ne risentono. Razionaliz­zazione, si diceva, è la chiave per il futuro: «Si parla sia di bacini che di accumuli sotterrane­i, tipici per l’irrigazion­e nel campo dell’agricoltur­a, nel quale ancora più importanti sono le azioni di risparmio della risorsa, come l’irrigazion­e a goccia — conclude Berlanda — allo studio ci sono alcuni progetti per risolvere l’approvvigi­onamento irriguo di due zone note di sofferenza, parti delle valli di Non e Cembra».

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Oro blu Il possesso dell’acqua è da sempre al centro dei conflitti. L’epoca contempora­ne a non fa eccezione. Il Trentino è ricchissim­o d’acqua, ma forse non la sta usando al meglio

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