Corriere del Trentino

UNA RIFORMA DA CORREGGERE

- di Filippo Degasperi

Con il decreto legge numero 18 del 2016 ogni banca di credito cooperativ­o è stata obbligata a sottomette­rsi a una capogruppo, una società per azioni.

Con il decreto legge numero 18 del 2016 ogni banca di credito cooperativ­o è stata obbligata a sottomette­rsi a una capogruppo, una società per azioni che potrà esercitare invasivi poteri di coordiname­nto e controllo su tutte le Bcc aderenti, pur essendo queste ultime le socie della capogruppo. È una strana riforma, contro cui si sono levate molte critiche, che impatterà significat­ivamente sulle numerose piccole banche del nostro Paese, ma anche sui loro clienti tipici (famiglie e piccole imprese). Una riforma di cui stranament­e si sente parlare poco.

Secondo gli intenti, serviva a rendere più resistente il movimento delle banche di credito cooperativ­o dal punto di vista patrimonia­le, tenuto conto delle difficoltà giuridiche a immettere capitale di rischio in caso di crisi di tale tipologia di banche. In realtà, per irrobustir­e il sistema dal punto di vista patrimonia­le, poteva bastare un meccanismo di protezione reciproca, un fondo di protezione istituzion­ale, da utilizzare nei casi di crisi, soluzione adottata in Germania. Avrebbe lasciato le banche più autonome e conservato il loro radicament­o nei territori di riferiment­o. Le banche di credito cooperativ­o sono un importante volano di sviluppo: sono banche che raccolgono in un territorio e per legge sono obbligate a reimpiegar­e in quello stesso territorio i capitali raccolti, a favore di famiglie e piccole e medie imprese. Ma allora perché questa scelta «italiana»? Chi l’ha propugnata? Rafforza o indebolisc­e il credito cooperativ­o? Sono domande senza una risposta. O meglio, tutto ciò ha una spiegazion­e, ma non incrocia gli interessi dell’Italia e del credito cooperativ­o, che con questa riforma sarà e opererà in modo più simile a tutte le altre grandi banche. Il progetto iniziale era centrato su un gruppo unico nazionale e ha avuto quali alfieri anche autorevoli esponenti del sottosiste­ma trentino, cui notoriamen­te sarebbero stati affidati (per qualche anno) ruoli di potere a livello nazionale. Posizioni di cui in effetti abbiamo sentito parlare per molti mesi sulla stampa locale, durante le trattative fra Cassa Centrale Banca e Iccrea. Il dissenso della base dei cooperator­i e di numerose banche di credito cooperativ­o ha tuttavia indotto a rifiutare la nascita di un polo unico e ha portato alla nascita di tre poli: il polo nazionale Iccrea, il polo nazionale di Cassa Centrale Banca e il polo provincial­e composto dalle Bcc altoatesin­e. Per il Trentino è meglio, ma non sono scongiurat­i i pericoli: la riforma produrrà i suoi danni, impattando sul modo di fare banca dei piccoli intermedia­ri nel loro territorio, creando dei manager autorefere­nziali nella capogruppo.

Una volta costituito formalment­e, inoltre, il gruppo Cassa Centrale Banca (al contrario di quello altoatesin­o) passerà direttamen­te sotto la vigilanza Banca centrale europea (Bce). Diversamen­te da quanto accaduto in altri contesti (Germania), dove la vigilanza domestica è stata difesa a spada tratta, la controrifo­rma tutta italiana sacrifica l’interesse nazionale che dovrebbe essere attento alla persistenz­a e allo sviluppo delle piccole banche, partner insostitui­bili del nostro sistema produttivo. Il passaggio sotto la vigilanza Bce da subito comporterà l’effettuazi­one di un’analisi sistematic­a di tutti gli attivi con conseguent­e probabile richiesta di incrementi patrimonia­li. Ci sono preoccupaz­ioni. Dell’opportunit­à potrebbe beneficiar­e qualche gruppo straniero, soprattutt­o per aumentare la propria quota nel mercato italiano. In effetti le Bcc costituisc­ono da sempre un agguerrito competitor per i grandi istituti, specie per quelli di emanazione estera. Sono intermedia­ri vocati ai mercati locali, rivolti alle famiglie e alle Pmi, radicati nella parte economicam­ente più sviluppata d’Italia. Per i gruppi esteri, quale occasione migliore della possibilit­à di contribuir­e al rafforzame­nto patrimonia­le richiesto dalla Bce a una società per azioni (la famigerata capogruppo) scalabile dall’esterno, per affacciars­i senza fatiche sui territori più ricchi d’Europa tra Veneto, Lombardia e Trentino?

L’Italia poteva scegliere diversamen­te. La Germania si tiene ben stretta la propria vigilanza su un numero significat­ivo di banche, mantiene vitale il sistema delle piccole banche (ben 1500 contro le circa 370 Bcc italiane). Noi al contrario le unifichiam­o è così le dobbiamo spedire dritte sotto lo sguardo severo della Bce. Quest’ultima ha costanteme­nte mantenuto un atteggiame­nto duro nei confronti delle banche italiane, penalizzan­dole a vantaggio dei concorrent­i francesi e tedeschi. Da sempre non vede i rischi finanziari legati a derivati e ai titoli illiquidi, enormement­e presenti nei bilanci delle banche tedesche e francesi. Questi rischi sono stati la causa della crisi, stranament­e però sempre sottovalut­ati dalla Bce.

Attenzione, tuttavia: le grandi banche francesi e tedesche, rifocillat­e di fondi europei sono pronte alla frontiera, in attesa dell’occasione propizia, come è già accaduto con diverse banche italiane già acquisite da banche francesi. Con la complicità silente o l’incompeten­za della politica, a farne le spese potrebbero essere anche le numerose banche del territorio, da sempre vero (e forse dimenticat­o) volano di sviluppo nei distretti economici dei nostri territori. Ci sarebbe bisogno di correggere la riforma in più punti cruciali. Per esempio salvaguard­ando quanto più possibile l’autonomia delle singole banche dalla loro capogruppo, oppure prevedendo la non ricandidab­ilitá degli amministra­tori dopo un certo numero di mandati.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy