La sfida di Gorini, talento emergente «Sarò scomodo»
Filarmonica, il talento emergente in concerto lunedì
Si riapre il sipario nella sala Filarmonica di via Verdi per un 2018 ricco di appuntamenti e ospiti internazionali. A inaugurare il primo concerto dell’anno sarà un giovane talento italiano: Filippo Gorini, 22 anni, ormai da tre anni sui palchi d’Europa. A Trento suonerà lunedì alle 20.30, proponendo un repertorio impegnativo che abbraccia più di settant’anni di musica tedesca. È presente in questo repertorio più o meno tutta l’evoluzione del Romanticismo musicale tedesco.
Come nuovo talento pianistico italiano la sua carriera è iniziata nel 2015, dopo il primo posto al concorso “Telekom-Beethoven” di Bonn, corretto? È proprio in quell’occasione che lei incontrò il maestro Alfred Brendel?
«È vero: pur avendo vinto altri concorsi riservati ai giovanissimi, è stato il “TelekomBeethoven” a darmi la spinta decisiva a consentirmi di intraprendere davvero la carriera solistica. Brendel in realtà lo incontrai qualche mese più tardi in circostanze estremamente fortuite. Il confronto con lui è per me un arricchimento unico, data la sua conoscenza sconfinata e l’anima sensibile e generosa».
Come paragonerebbe la formazione musicale in ambiente Italiano e germanico?
«Sono cresciuto molto solidamente in Italia, dove esiste un panorama irregolare: nel numero elevatissimo di conservatori presenti solo una parte è competitiva a livello internazionale. Nel nostro Paese è presente una “disistima anaffettiva” nei confronti di queste istituzioni; al contrasitori rio, nei Paesi germanici, essi sono veri e propri pilastri sociali. Per quanto riguarda il repertorio, conta molto la “Scuola Nazionale”: cambiano gli autori su cui ci si focalizza e l’immaginario interpretativo».
Ci sono buone opportunità per i talenti emergenti?
«I giovani emergenti suscitano ovunque interesse per la loro natura di promessa ancora incompiuta. Importanti stagioni hanno avuto il coraggio di propormi in cartellone a fianco di nomi prestigiosi, e sempre il pubblico ha accolto con piacere i miei concerti».
Tra i brani in repertorio sono presenti Beethoven, Schumann e Brahms: come mai questa scelta? C’è, tra le opere che suonerà, una in particolare che sente «sua»?
«Sono tre dei miei compo- prediletti, accostati in alcune delle loro opere più mature e pregnanti. Ciascuno di loro eredita molto del mondo sonoro degli altri. Personalmente tengo molto alle
Geistervariationen di Schumann, proposta molto di rado. Il misto di abbandono pacifico alla morte, di un genio che si vede divorato dalla malattia, sono commoventi davvero fino alle lacrime».
Il suo repertorio però non si limita a questi periodi, lei ha spaziato da Bach e Berio. Si sente affine a qualche compositore in particolare o a qualche periodo della storia della musica? Perché?
«Sicuramente sento più vicina la tempra beethoveniana rispetto a ogni altro compositore; in generale gli autori austro-tedeschi li trovo più interessanti da studiare. Ma provo con grande forza l’esigenza di suonare musica contemporanea e proporre programmi impegnativi, potenzialmente scomodi anche per il pubblico».