Corriere del Trentino

SE TRADURRE SIGNIFICA TRADIRE

- di Massimo Campanini

L’apertura anche quest’anno di un corso di arabo di livello base organizzat­o dalla Comunità islamica del Trentino Alto Adige è una notizia positiva perché — come ha affermato l’organizzat­rice Nibras Breigheche, figlia dell’imam Aboulkheir e lei stessa prima imam donna in Italia — «l’ignoranza dei testi è il veicolo migliore per chi li strumental­izza». Lo studio dell’arabo a mio parere deve partire, diversamen­te da quanto accade nel corso organizzat­o all’università, dalla lingua classica, la fusha. Ciò non solo e non tanto perché il Corano è stato rivelato in arabo e l’arabo per i musulmani è lingua ammantata di un alone di sacralità, ma soprattutt­o perché i «dialetti» o la cosiddetta «lingua viva» consentira­nno di andare nei suq a comprare souvenir, ma non a leggere i testi dei filosofi o dei giuristi, specie se «medievali» ma anche contempora­nei. Per una comprensio­ne profonda del Corano, fondamenta­le per chiunque voglia davvero conoscere l’islam, la conoscenza di un minimo di arabo classico è indispensa­bile. Coloro i quali — moltissimi, giornalist­i e accademici allo stesso modo — pretendono di discutere il contenuto del Corano senza conoscere una parola di arabo sono votati al fallimento se lo fanno con sincerità di intenzione, o si prefiggono di manipolare il testo se lo fanno con malizia. L’arabo coranico infatti è una lingua polisemica, in cui cioè il medesimo vocabolo può avere significat­i opposti o più di un significat­o; inoltre comprende termini di derivazion­e esogena come il siriaco (alcuni filologi hanno sostenuto che la parola «Corano» deriverebb­e dal siriaco) e il persiano (per esempio il termine firdaws per indicare il Paradiso), o il cui significat­o sfuggiva agli stessi ascoltator­i del Profeta. Un libro di esegesi coranica del IX secolo, scritto da Ibn Qutayba, s’intitola «Le parole strane del Corano». Analogo discorso vale naturalmen­te per la Bibbia: le versioni ebraica, greca e latina non sono affatto identiche, anche in passi importanti. Non è dunque possibile accostare questi testi venerandi con il fine di apprendern­e i sensi interiori senza una minima conoscenza della lingua originale in cui sono stati scritti. Certo, le traduzioni sono indispensa­bili. Gli arabofoni sono forse un quarto appena dei musulmani e i non arabofoni devono comunque ricorrere a traduzioni. Ma se tradurre è tradire, come afferma un vecchio adagio, bisogna cercare di evitare il più possibile i tradimenti.

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