Hörmann, disperazione dal carcere «Non volevo uccidere, solo aiuto»
Pensiero costante alla madre. Oggi l’interrogatorio. Il dardo? Era senza esplosivo
«Non volevo uccidere nessuno, Cercavo solo un aiuto». È addolorato e dispiaciuto Ivan Hörmann, l’operaio di Mezzolombardo, protagonista della sparatoria a Caldonazzo. Ieri ha incontrato il suo avvocato, Andrea de Bertolini. Oggi intanto ci sarà l’interrogatorio dal giudice.
TRENTO «Non volevo uccidere nessuno». Gli occhi stanchi, lo sguardo rivolto verso l’avvocato. È addolorato Ivan Hörmann e il suo pensiero fisso va alla madre, al dolore che ha provocato.
Un pensiero che non gli dà pace. Voleva solo risolvere quel suo problema: la casa. Era quasi un’ossessione per lui. Poi quella lettera, arrivata proprio martedì mattina, e la richiesta di pagamento, un’ulteriore domanda di soldi. Voleva che Pola gli risolvesse il problema perché, nella sua mente, nessuno lo ascoltava. Si è armato, ha caricato l’auto di proiettili (i carabinieri ne hanno trovati 138), poi ha preso la pistola, la Whalter P38, il coltello e infine la balestra, ed è partito per Caldonazzo. «Ma non volevo uccidere nessuno» ha continuato a ripetere al suo avvocato, Andrea de Bertolini, che ieri mattina ha parlato per più di un’ora con il quarantasettenne di Mezzolombardo, protagonista dell’aggressione armata ai due commercialisti di Caldonazzo, Rinaldo Pola e il figlio Christian.
Hörmann, che è in carcere con l’accusa di tentato omicidio, detenzione abusiva d’armi e sequestro di persone, è apparso molto sofferente e consapevole di aver causato molto dolore. «Mi dispiace» ha detto più volte al suo avvocato.
Hörmann non voleva uccidere, ma era armato fino ai denti. Nella sua mente, forse, voleva solo spaventare i due commercialisti affinché gli risolvessero la sua situazione economica. Era disperato. Aveva perso il lavoro, poi era arrivato lo sfratto. Davvero troppo. Per lui, nella sua mente fragile, qualcuno era responsabile di tutta questa sofferenza e doveva far qualcosa per aiutarlo. Con un passato difficile alle spalle — l’operaio era stato seguito dal Centro di salute mentale di Trento — Hörmann aveva forse maturato una specie di ossessione per quella casa che gli era stata portata via e che per lui rappresentava un rifugio. Non ha retto a tanto e così martedì mattina è scattato qualcosa, un raptus di follia, forse.
La corsa in auto verso Caldonazzo, il colloquio con Christian, voleva che lo ascoltassero. Poi i due colpi esplosi sul pavimento, alcune schegge hanno raggiunto il piede del giovane commercialista ferendolo lievemente, infine l’ultimo sparo, diretto verso la madre di Christian Pola, Lori Gasperi, che non è rimasta feSecondo rita solo per un soffio. Il proiettile si è conficcato in un armadio.
Poi il buio. Per quasi sei ore si sono perse le tracce dell’uomo, pare non sia stato neppure ripreso dalle tante telecamere posizionate lungo le principali arterie stradali. Quando i carabinieri della compagnia di Cles insieme ai colleghi di Trento e quelli dell’Api, il corpo specializzato di pronto intervento, hanno fermato il quarantasettenne aveva nascosta sotto l’ascella la pistola con il colpo in canna. Aveva la mano sul grilletto.
I carabinieri del nucleo investigativo stanno ultimando gli ultimi accertamenti per definire nel dettaglio la ricostruzione di quanto accaduto. Ieri sono arrivati i risultati degli accertamenti da parte degli artificieri sulla balestra trovata in auto. Il dardo era stato modificato con una vite, ma non c’era tracce di esplosivo come si era pensato in un primo momento. Intanto si attende l’udienza di convalida dell’arresto davanti al gip Marco La Ganga.
Ora difesa e accusa dovranno valutare se chiedere una perizia psichiatrica, come accade spesso in questi casi, per chiarire la capacità di intendere e volere dell’uomo.