Macellaio, un’arte tra fatica e mode
I negozi sono pochissimi Un’eclisse con tante cause Montanarini amaro «È mancato il ricambio»
C’è chi lo definisce «una missione», chi «un’arte». Tutti non nascondono la passione che li anima, per l’artigianalità e la cultura del cibo, ma nemmeno i sacrifici di un mestiere che fagocita la gran parte del tempo disponibile. E sta lentamente ma inesorabilmente scomparendo. I macellai, quelli «di una volta», quelli capaci di tagliare e disossare la carne nel modo giusto, a Trento si contano ormai sulle dita di una mano, forse due. Colpa della grande distribuzione? Anche. Ma pure dell’effettiva diminuzione del consumo di carne, dell’assenza di ricambio generazionale, della complessità normativa e burocratica.
«Dietro al progressivo diradarsi delle macellerie si nascondono diversi fattori — osserva Roberto Montanarini, erede di un mestiere lungo tre generazioni, titolare dell’omonimo esercizio in via Giusti — C’è il progressivo calo del consumo di carne sin dagli anni Ottanta, la concorrenza della grande distribuzione, ma soprattutto l’assenza di persone capaci di portare avanti una tradizione un tempo decisamente familiare: ora alla Fondazione Mach c’è un percorso di formazione professionale (un indirizzo riservato alla trasformazione agroalimentare,
ndr) ma negli anni Novanta mancava, si è perduta, così, una generazione capace di fare questo lavoro». Nonostante San Michele, tuttavia, rimane difficile trovare persone disposte a intraprendere la professione di macellaio. Si lavora al freddo, dall’alba al tramonto anche sei giorni su sette. «È una missione» sottolinea Gilberto Belli dalla sua bottega di piazza Vittoria: insieme al fratello Gianpaolo e ai figli Luca e Simone è protagonista della sesta generazione della Salumeria Belli. «Le ore che si fanno al banco con i clienti sono le prime, poi ce ne sono almeno altre quattro o cinque — racconta — Ci vuole passione, altrimenti fra la fatica del mestiere e le normative sanitarie e burocratiche sempre nuove è impossibile districarsi».
A tutto questo si aggiunge poi quelle che gli addetti ai lavori considerano «una moda», ovvero le diete vegetariana e vegana. «Rispetto all’anno scorso ho riscontrato una diminuzione del consumo di carne del 5% circa — ammette Christian Cainelli, che ha ereditato mestiere e vocazione dal padre Marco — Certo, questo incide sull’andamento complessivo delle macellerie, ma a monte c’è la particolarità di un lavoro peculiare, impegnativo, difficile da mantenere». Ancora una volta, questione di passione. «Ci si alza presto la mattina e non si sa quando si rientra a casa la sera, non in molti sono disposti a farlo — aggiunge — e poi fare il macellaio è un’arte, occorrono persone qualificate: la carne è delicata, la si deve sezionare nella maniera giusta, e il cliente va consigliato in modo appropriato». Cosa che non avviene, secondo Mirco, che lavora Segata di Gardolo, nei supermercati: «Ai quali i cittadini si rivolgono sempre di più, perché vogliono usufruire della comodità di trovare tutto in un solo luogo — commenta — perdendo, così, la professionalità che si trova in una macelleria».
Le voci Belli: «Un mestiere molto faticoso» Cainelli: «Il consumo di carne si è ridotto»