LE FAKE NEWS MORDI E FUGGI
La Corte d’appello di Trento ha recentemente condannato un blogger per l’attribuzione al segretario della Lega Nord, Matteo Salvini, di affermazioni false e diffamatorie che, se ritenute «vere», potevano avere un effetto negativo sul consenso a quel partito. In primo grado il blogger era stato invece assolto, ritenendosi il post di natura satirica. La questione ripropone il tema delle fake news con particolare riferimento, nella fattispecie, all’uso politico delle stesse, al diritto di satira e, più in generale, alla regolamentazione della Rete.
Il vero problema sostanziale, confermato dalla stessa diversa soluzione data nei due gradi di giudizio, riguarda però l’uso del web 2.0 come sistema informativo ed è a monte della stessa «notizia». Con una veloce ricerca si scopre che il sito, attualmente non attivo, aveva una denominazione («lavocea5stelle») che poteva far pensare a un suo collegamento (pare smentito: vedi il sito Bufale.net) con il movimento politico di Beppe Grillo. Al tempo stesso, attraverso la wayback machine (sistema di archiviazione della Rete dove è possibile risalire a pagine cancellate), si scopre come nel sito fosse presente un disclaimer che ne dichiarava la natura di «blog, a volte serio, spesso satirico», al cui interno titoli e contenuti potevano essere «totalmente o parzialmente inventati e/o manipolati, a fini esclusivamente goliardici». Di chi è, quindi, la responsabilità? I blog, Twitter, Facebook e altre piattaforme online rappresentano ormai la sorgente principale di informazione per un numero altissimo di persone, sostituendo gli organi di stampa. Di fronte a una fruizione e condivisione dell’informazione «mordi (sputa) e fuggi» — che porta a commentare, condividere e inoltrare, ma non a verificare i documenti e la loro natura — anche la presenza di un avviso sulla fonte originale non serve a molto. Non si sa chi abbia diffuso la notizia e non si sa se la notizia abbia fondamento: «L’ha detto la Rete», tanto basta. Possiamo pensare a nuove norme (quelle al vaglio del parlamento rischiano di aumentare i problemi anziché risolverli, introducendo meccanismi di censura fondati su criteri incerti), ma fino a quando non si raggiungerà un grado di maturità sufficiente nell’utente, la Rete sarà, in relazione al diritto all’informazione, un ambiente se non tossico certamente molto opaco. Maturità e spirito critico non si ottengono per decreto.