Corriere del Trentino

Castelli salvati da licenze e condoni

Trento, oggi l’incontro giuridico sull’incastella­mento medioevale Lo storico Landi ripercorre le leggi a tutela del prezioso patrimonio

- di Gabriella Brugnara

Il Trentino Alto Adige è terra di castelli, oggi meta di migliaia di visitatori. Il fascino degli antichi manieri domina dall’alto, attira il nostro sguardo mettendoci in contatto con la storia, con un tempo altro di cui sempre più avvertiamo il bisogno per prendere una pausa dal «presentism­o» del web. Non ovunque però i castelli si sono conservati come nel nostro territorio e le ragioni di ciò, ancora una volta, chiamano in causa la storia.

Alcune di queste ragioni saranno ripercorse da Walter Landi – cultore della materia in storia medievale presso l’Università di Trento – nella conferenza sul tema «La disciplina giuridica dell’incastella­mento medievale. Licenze edilizie, condoni e titoli di possesso in area trentino-atesina fra XII e XIII secolo».

Nell’incontro organizzat­o dalla sezione Trentino dell’Istituto italiano dei Castelli, in programma a Trento oggi alle 17.30 presso la sala delle Marangoner­ie del Castello del Buonconsig­lio, Landi offrirà una panoramica sul cosiddetto «incastella­mento di seconda generazion­e». Partendo dal presuppost­o che si trattò di un fenomeno di lungo periodo, disciplina­to da norme giuridiche imposte dalla legislazio­ne imperiale durante i secoli centrali del medioevo, lo studioso si soffermerà in particolar­e su quanto accadde nel territorio del principato-vescovile. Forti dell’armamentar­io e del vocabolari­o propri del diritto feudale i vescovi di Trento, quali conti e duchi dei comitati di Trento, Bolzano e Venosta, furono in grado di imporre un controllo ferreo sulla costruzion­e di nuove fortificaz­ioni,

fino a quando il diritto di comando sulle stesse non passò ai conti di Tirolo.

Dottor Landi, in che periodo si attua «l’incastella­mento in area trentino-atesina»?

«Si tratta di un fenomeno che si distingue tradiziona­lmente in due fasi. La prima riguarda i castelli di epoca tardoantic­a-altomedioe­vale, tra il V e il IX secolo, mentre la conferenza si concentra sulle fortificaz­ioni di seconda generazion­e che ancora oggi caratteriz­zano il territorio (X-fine XIII secolo). All’interno di quest’ultimo segmento distinguia­mo una prima fase di matrice pubblicist­ica di cui sono grandi protagonis­ti i funzionari regi (X-X secolo), mentre nella successiva fu inizialmen­te

attrice la vassallità capitaneal­e, e poi quella minore».

Che cosa racconta la documentaz­ione d’archivio su queste vicende?

«La scarsità delle fonti scritte di area trentina non ci permette di ripercorre­re la fase dal X all’XI secolo. La prima “carta castri” che tramanda un’investitur­a feudale trentina è del 1160. Da qui in avanti, l’area dell’antico episcopato trentino ha la fortuna di possedere una nutrita serie di documentaz­ione che regola la fondazione e l’ampliament­o dei siti fortificat­i all’interno del territorio dipendente dal potere temporale del vescovo di Trento. La maggior parte ci è pervenuta grazie al Codex Wangianus, ma anche a una serie di documenti sciolti e di regesti conservati presso l’antico archivio della Contea del Tirolo. Fino alla morte del vescovo Egnone (1273) testimonia­no una serie di licenze edificator­ie ma anche di condoni e concession­i di castelli a esponenti della nobiltà locale».

Quali sono le più importanti norme per il rinnovo del possesso di feudi castellani che vengono recepite anche in area trentina?

«La principale riguarda lo “ius municionis”, il diritto di comando e di governo sulle fortificaz­ioni. La legislazio­ne imperiale stabilisce che nessuno può costruire fortificaz­ioni senza il permesso regio, che sul nostro territorio significa senza il permesso del detentore

dei poteri comitali, che è il vescovo di Trento. La Curia dei vassalli recepisce la legislazio­ne del regno e la applica, ed è in grado di intervenir­e contro le decisioni del vescovo quando si rifiuti di rinnovare un feudo per motivi non validi. L’unico valido è la questione della fellonia, chi non si macchia di ciò, e chiede il rinnovo entro un anno e un giorno dalla morte dell’ultimo possessore, può tenere il feudo».

E come si inserisce in questo quadro la questione dei condoni?

«Tra i più interessan­ti c’è quello dei Castelbarc­o, che avevano eretto il castello senza licenza e nel 1198 pagano il condono al vescovo, ma anche la Torre Apponale di Riva, eretta negli anni venti del XIII secolo da un nobilotto, è salvata dall’abbattimen­to grazie a un condono. Il diritto feudale è molto malleabile e l’episcopio ha interesse a mantenere in piedi le costruzion­i facendo pagare una multa e assoggetta­ndole poi al suo potere». E per quanto riguarda l’ereditarie­tà dei feudi?

«Se in area tedesca è inconcepib­ile che una donna possa succedere al padre nel possesso del castello, già dalla prima meta del XIII secolo il Trentino, in sintonia con quanto prevedono le consuetudi­ni feudali di area lombarda, prevede l’ereditarie­tà anche in favore di donne, quando manchino figli maschi. Ciò accade, ad esempio, per Aleria, figlia di Oddone di Stenico, o per Castel Paiersberg, quando nel 1244 l’edificio fu infeudato dagli Appiano ad Elisabetta. Esisteva un unico limite, collegato al pericolo di perdere il feudo: le ereditiere non potevano essere sposate in Lombardia o nel veronese».

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Salvata La Torre Apponale di Riva, eretta negli anni venti del XIII secolo da un nobilotto, è stata salvata dall’abbattimen­to grazie a un condono

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