Castelli salvati da licenze e condoni
Trento, oggi l’incontro giuridico sull’incastellamento medioevale Lo storico Landi ripercorre le leggi a tutela del prezioso patrimonio
Il Trentino Alto Adige è terra di castelli, oggi meta di migliaia di visitatori. Il fascino degli antichi manieri domina dall’alto, attira il nostro sguardo mettendoci in contatto con la storia, con un tempo altro di cui sempre più avvertiamo il bisogno per prendere una pausa dal «presentismo» del web. Non ovunque però i castelli si sono conservati come nel nostro territorio e le ragioni di ciò, ancora una volta, chiamano in causa la storia.
Alcune di queste ragioni saranno ripercorse da Walter Landi – cultore della materia in storia medievale presso l’Università di Trento – nella conferenza sul tema «La disciplina giuridica dell’incastellamento medievale. Licenze edilizie, condoni e titoli di possesso in area trentino-atesina fra XII e XIII secolo».
Nell’incontro organizzato dalla sezione Trentino dell’Istituto italiano dei Castelli, in programma a Trento oggi alle 17.30 presso la sala delle Marangonerie del Castello del Buonconsiglio, Landi offrirà una panoramica sul cosiddetto «incastellamento di seconda generazione». Partendo dal presupposto che si trattò di un fenomeno di lungo periodo, disciplinato da norme giuridiche imposte dalla legislazione imperiale durante i secoli centrali del medioevo, lo studioso si soffermerà in particolare su quanto accadde nel territorio del principato-vescovile. Forti dell’armamentario e del vocabolario propri del diritto feudale i vescovi di Trento, quali conti e duchi dei comitati di Trento, Bolzano e Venosta, furono in grado di imporre un controllo ferreo sulla costruzione di nuove fortificazioni,
fino a quando il diritto di comando sulle stesse non passò ai conti di Tirolo.
Dottor Landi, in che periodo si attua «l’incastellamento in area trentino-atesina»?
«Si tratta di un fenomeno che si distingue tradizionalmente in due fasi. La prima riguarda i castelli di epoca tardoantica-altomedioevale, tra il V e il IX secolo, mentre la conferenza si concentra sulle fortificazioni di seconda generazione che ancora oggi caratterizzano il territorio (X-fine XIII secolo). All’interno di quest’ultimo segmento distinguiamo una prima fase di matrice pubblicistica di cui sono grandi protagonisti i funzionari regi (X-X secolo), mentre nella successiva fu inizialmente
attrice la vassallità capitaneale, e poi quella minore».
Che cosa racconta la documentazione d’archivio su queste vicende?
«La scarsità delle fonti scritte di area trentina non ci permette di ripercorrere la fase dal X all’XI secolo. La prima “carta castri” che tramanda un’investitura feudale trentina è del 1160. Da qui in avanti, l’area dell’antico episcopato trentino ha la fortuna di possedere una nutrita serie di documentazione che regola la fondazione e l’ampliamento dei siti fortificati all’interno del territorio dipendente dal potere temporale del vescovo di Trento. La maggior parte ci è pervenuta grazie al Codex Wangianus, ma anche a una serie di documenti sciolti e di regesti conservati presso l’antico archivio della Contea del Tirolo. Fino alla morte del vescovo Egnone (1273) testimoniano una serie di licenze edificatorie ma anche di condoni e concessioni di castelli a esponenti della nobiltà locale».
Quali sono le più importanti norme per il rinnovo del possesso di feudi castellani che vengono recepite anche in area trentina?
«La principale riguarda lo “ius municionis”, il diritto di comando e di governo sulle fortificazioni. La legislazione imperiale stabilisce che nessuno può costruire fortificazioni senza il permesso regio, che sul nostro territorio significa senza il permesso del detentore
dei poteri comitali, che è il vescovo di Trento. La Curia dei vassalli recepisce la legislazione del regno e la applica, ed è in grado di intervenire contro le decisioni del vescovo quando si rifiuti di rinnovare un feudo per motivi non validi. L’unico valido è la questione della fellonia, chi non si macchia di ciò, e chiede il rinnovo entro un anno e un giorno dalla morte dell’ultimo possessore, può tenere il feudo».
E come si inserisce in questo quadro la questione dei condoni?
«Tra i più interessanti c’è quello dei Castelbarco, che avevano eretto il castello senza licenza e nel 1198 pagano il condono al vescovo, ma anche la Torre Apponale di Riva, eretta negli anni venti del XIII secolo da un nobilotto, è salvata dall’abbattimento grazie a un condono. Il diritto feudale è molto malleabile e l’episcopio ha interesse a mantenere in piedi le costruzioni facendo pagare una multa e assoggettandole poi al suo potere». E per quanto riguarda l’ereditarietà dei feudi?
«Se in area tedesca è inconcepibile che una donna possa succedere al padre nel possesso del castello, già dalla prima meta del XIII secolo il Trentino, in sintonia con quanto prevedono le consuetudini feudali di area lombarda, prevede l’ereditarietà anche in favore di donne, quando manchino figli maschi. Ciò accade, ad esempio, per Aleria, figlia di Oddone di Stenico, o per Castel Paiersberg, quando nel 1244 l’edificio fu infeudato dagli Appiano ad Elisabetta. Esisteva un unico limite, collegato al pericolo di perdere il feudo: le ereditiere non potevano essere sposate in Lombardia o nel veronese».