Antonelli: trend con dinamiche di classe
Ha dedicato una vita intera alla ricerca. L’ha fatto risalendo alle fonti, raccontando il processo di alfabetizzazione del Trentino. Quinto Antonelli, responsabile dell’Archivio della scrittura popolare del Museo storico, risponde dando prima uno sguardo al passato e poi al presente. Se in provincia di Trento la partecipazione ai percorsi sia universitari sia liceali è tra le più basse d’Italia, vale la pena chiedersi se ancora oggi esistano (e resistano) «dinamiche di classe».
Antonelli, quali eventi hanno segnato la nostra scuola e quale eredità ha lasciato il modello asburgico?
«Il sistema scolastico vigente nel Trentino asburgico negli anni antecedenti la Grande guerra poggiava su una estesissima rete di scuole popolari, presenti fin nelle valli più periferiche del Trentino. La conseguenza fu la scomparsa o quasi dell’analfabetismo. A fronte di questa alfabetizzazione di massa, esisteva una scuola superiore destinata a una ristretta élite di giovani maschi di provenienza perlopiù urbana e borghese. Alla ragazze era concessa la frequenza dell’Istituto magistrale femminile di Trento, ma proibito l’accesso sia ai ginnasi-licei, che agli istituti tecnici. Quindi l’eredità asburgica si può sintetizzare in questo modo: estesa alfabetizzazione, ridottissima frequenza alle scuole superiori che produceva una ristretta élite di diplomati e un
ancor più esiguo numero di laureati (nessuna donna laureata), assenza di un’università sul territorio».
Per quale ragione oggi in Trentino è più alta l’incidenza dei percorsi professionali?
«In fatto di frequenza della scuola superiore si parte da livelli veramente bassi. E non parlo del periodo asburgico. Ancora negli anni Sessanta il Trentino era ben al di sotto della media nazionale e stazionava, quanto a numero di diplomati, tra gli ultimi posti. Da allora naturalmente si son fatti passi da gigante, ma tutto questo non basta per motivare famiglie e ragazzi a intraprendere un percorso di studi lungo e non semplice. L’aver strettamente legato studio e lavoro, studio e risultato sociale, studio e prestigio, forse ha sottratto valore alla formazione come valore in sé. Se il lavoro, magari anche ben retribuito, si conquista con minor sforzo e in minor tempo perché impegnarsi a studiare arte e filosofia, per dire. A questo aggiungerei un diffuso clima anti-culturale (o anti-intellettuale) che percepisco soprattutto sul web, dove viene impugnato come un alibi per sottrarsi al confronto o all’impegno».
Anche i tassi di iscrizione all’università sono tra i più bassi d’Italia. Perché?
«Il fatto di non aver avuto nella lunga storia del Trentino un’università sul territorio ha contribuito in maniera rilevantissima non solo alla quota irrisoria di laureati, ma anche alla gracilità della classe dirigente e intellettuale trentina. Manca però in queste cifre il fondamentale dato, che un tempo si sarebbe detto “di classe”. Temo, insomma, che i giovani che abbandonano, che non coltivano ambizioni, che ripiegano su qualcosa di meno elevato, provengano ancora da zone periferiche e da famiglie non abbienti, incapaci di offrire ai figli oltre che sicurezza economica anche solidità culturale, fiducia nel futuro e solidarietà di classe. Tutte cose che le famiglie della borghesia trentina sanno ancora offrire ai propri figli».