Castelli ripropone la pièce su Cagol Esordio svizzero
La piéce Nuovo allestimento di Avevo un bel pallone rosso di Rifici L’attore: «Ho accettato a scatola chiusa». Debutto a Lugano poi al Piccolo
ABolzano era stato portato in scena quasi tutte le sere per un mese, quando aveva fatto tappa a Roma per una settimana, ne era stata chiesta subito un’altra. Dopo la stagione del debutto, era partita una seconda tournée. Avevo
un bel pallone rosso, il testo con il quale la giovane autrice e attrice trentina Angela Demattè aveva vinto il premio Riccione per il teatro 2009 e che era diventato spettacolo grazie alla regia di Carmelo Rifici e all’interpretazione di Andrea Castelli, era stato un successo. Correva l’anno 2011.
Ora, a quasi sette anni di distanza, la pièce, che attraverso il rapporto tra un padre e una figlia, Mara Cagol fondatrice delle BR, era riuscita ad affrontare uno snodo cruciale della storia italiana, tornerà a nuova vita: il prossimo debutto è fissato a Lugano, il 26 e 27 settembre, in occasione del «Festival internazionale del teatro e della scena contemporanea», alla cui direzione artistica collabora Rifici. È proprio al giovane regista cernuschese che Castelli ha detto sì «a scatola quasi chiusa».
«Perché è come una levatrice, riesce a tirare fuori il bambino che è in te — afferma l’attore trentino — è capace di farti fare cose che a volte tu stesso credi di non poter fare».
Castelli, a breve tornerà dunque a vestire i panni di Carlo Cagol: emozionato?
«Quella parte mi piaceva tantissimo, mi consentiva di esprimere il dolore in una maniera interiore, senza manifestazione esterne. Così voleva Rifici e mi ci rispecchiavo. Sono curioso di vedere ora come la imposterà per il nuovo allestimento: nel testo di Demattè era tutta in dialetto, a segnare poi anche con la lingua il distacco fra quest’uomo che non capisce cosa stia accadendo alla figlia e muore dentro, combattuto fra l’amore per lei e l’impossibilità di comprenderla. Interpretare questa disperazione era commovente anche per me». Il modo in cui Rifici decide-
rà di riprendere in mano lo spettacolo è ancora top secret, dunque?
«Quando mi ha telefonato ho accettato a scatola quasi chiusa. La prima regia era naturalistica, lo stesso spazio scenico, che riproduceva l’interno di una casa, veniva uti- lizzato da Rifici per restituire sia la parte del rapporto fra padre e figlia, che tra lui e la Cagol brigatista: ogni volta veniva connotato in maniera differente con l’apparizione e la sparizione di muri che separavano le case e le psicologie dei due personaggi. Ora dice di volerla cambiare, ma sono sicuro farà qualcosa di bello».
Lei ha collaborato con Rifici già quattro volte, anche in La rosa bianca, L’officina e Sanguinare inchiostro: com’è lavorare con lui?
«Molto bello. Rifici riesce a tirare fuori dagli attori cose che loro stessi credono di non poter fare: è come una levatrice che riesce a far uscire il bambino che è dentro ognuno di noi».
Nella nuova versione ci sarà sempre Angela Demattè? Lo spettacolo farà tappa in regione?
«Margherita — Mara Cagol sarà interpretata da Francesca Porrini. Dopo Lugano partiremo per una tournée che toccherà anche Torino, il “Piccolo” di Milano, Brescia e altre città fino a gennaio. Spero tanto anche a Trento e Bolzano».