Per i detenuti aumentano le alternative
Il direttore Apas: «Il carcere è rigido, l’affidamento impone responsabilità»
Secondo i dati Ispat, delle 327 persone condannate al carcere nel 2016 in Trentino per ben 129 di loro sono state disposte delle misure alternative. Giazzon: «L’obiettivo deve essere rieducare».
TRENTO La società civile entra nel mondo penitenziario. È ciò che si evince dalle analisi dell’Ispat – Istituto di statistica della provincia di Trento – su- i dati pubblicati riguardo i condannati sottoposti a misure alternative alla detenzione negli anni 2010-2016.
Nel 2016, infatti, i condannati sottoposti a misure alternative nella provincia di Trento sono stati 129. Per leggere tale dato risulta necessario fare altresì riferimento al numero totale dei condannati nello stesso anno: 327. Osservando semplicemente i numeri si potrebbe pensare che si sia registrato un ricorso maggiore alla detenzione piuttosto che alle misure alternative. In merito, tuttavia, si esprime il direttore dell’Apas Aaron Giazzon. «Il carcere è un’istituzione rigida, che per sua natura non esclude nessuno – commenta – Invece il ricorso alla misura alternativa prevede la redazione di un progetto con la persona e con un’ampia rete di soggetti». Dunque, analizzato alla luce di tale complessità, il numero relativo ai condannati sottoposti a misure alternative non appare più così ridotto.
«In riferimento ai dati dell’Ispat, la riflessione principale dovrebbe riguardare la tipologia di misura alternativa cui si è fatto ricorso», spiega Giazzon. Infatti, nel 2016 sono stati 46 i soggetti cui è stata applicata la detenzione domiciliare e 55 i soggetti che hanno usufruito dell’affidamento in prova ai servizi sociali. Prima di analizzare la rilevanza di simili numeri è necessario specificare cosa effettivamente lo Stato italiano intende con il termine «misure alternative alla detenzione». Per essere definite tali, infatti, le misure alternative alla detenzione devono essere volte alla realizzazione della funzione rieducativa della pena.
«Leggendo i dati si registra un utilizzo molto simile di misure alternative profondamente diverse – spiega il direttore dell’Apas – Infatti, se da una parte si può fare riferimento alla detenzione domiciliare come modalità attraverso la quale il condannato riesce ad alleviare le proprie sofferenze personali, dall’altra parte l’affidamento in prova ai servizi sociali punta maggiormente a rispondere al bisogno di rieducazione quale elemento fondante delle misure alternative». L’affidamento risulterebbe dunque essere la «misura alternativa per eccellenza». «La detenzione domiciliare allevia le pene del condannato e contemporaneamente grava però sulle spalle dei familiari, peraltro spesso già pesantemente provati – spiega Giazzon – Inoltre non mira alla rieducazione e alla responsabilizzazione, diversamente dall’affidamento». Infatti, non solo l’affidamento deve necessariamente basarsi sulla responsabilizzazione del condannato, ma permette anche di tracciare la strada dell’impegno della società civile in termini di rieducazione.