Biologico e non biologico Regole e sapori diversi
Una mia nipotina ha 14 anni: qualche volta si siede al mio computer, ufficialmente perché ha bisogno di un posto tranquillo per fare i compiti; poi, per le ricerche su Internet. Senza parere, dà anche una sbirciatina al mio lavoro. Arricciando graziosamente il nasino, un paio di giorni fa mi ha chiesto: «Perché scrivi di carote e piselli?». Le sembrava un discorso riduttivo per una che sostiene di scrivere di giardini. Carote e piselli fan parte del mondo delle madri e delle cuoche, tali prosaiche verdure non dovrebbero entrare nella più nobile sfera d’azione di chi dice di occuparsi di fiorellini, aiuole variopinte, profumati rosai. Ho iniziato a spiegare che chi ha un giardino dovrebbe coltivare anche l’orto, non solo per un motivo utilitaristico, ma anche per motivi etici. Coltivare la verdura a «chilometro zero», come si usa dire oggi, e biologicamente, significa non inquinare, salvaguardare le falde acquifere, mantenere vivi i microorganismi del terreno, consumare meno energia, non alterare lo stato dei terreni, anzi, arricchirli. Chi coltiva in modo biologico il proprio orto oltre che a vivere più sano, contribuisce nel suo piccolo al mantenimento della salute della nostra Terra.
Nel lontano (per lei) 2014, Michele Serra scriveva: «...la differenza tra agricoltura biologica e non biologica non sta nel sapore delle verdure e dei cibi ottenuti in modo agroindustriale. Questi ultimi, per essere messi in commercio, sono spesso di buon sapore e devono essere salubri al cento per cento. Non hanno nulla di demoniaco e perverso. Semplicemente provengono da un ciclo produttivo che fa uso, spesso molto largo, di prodotti chimici. I prodotti biologici e biodinamici no. Costano qualcosa di più» —io ho aggiunto anche in termini di fatica individuale; è più semplice comprare insalata al supermercato — e soprattutto perché chi coltiva bio deve certificare (pagando) i suoi prodotti. Un paradosso, ma in agricoltura chi non inquina paga, chi inquina no..». Con questo corsivo Serra commentava lo scherzo di un giornalista olandese che ai visitatori di un salone del cibo biologico aveva fatto assaggiare i prodotti di un fast food «camuffati», scoprendo che nessuno si era accorto della differenza. E aggiungeva: «Quello che il giornalista non ha capito, o non sa, è che la differenza fra agricoltura biologica e non biologica, è un’altra. Per dire: si potrebbe vendere una casa costruita senza rispettare le norme di sicurezza sul lavoro e l’acquirente la troverebbe identica a una casa costruita rispettandole». Nel mio orto come in giardino le regole di sicurezza le voglio rigorosamente rispettate.