Corriere del Trentino

La filosofa del criptorazz­ismo

Donatella di Cesare è autrice di Stranieri residenti Alla biblioteca di Trento in dialogo con Ugo Morelli

- di Andrea Bontempo

«O viandante, riferisci che qui noi giacciamo per aver obbedito alle loro leggi». Dimentichi­amo per un momento il riferiment­o del celebre epitaffio di Simonide ai trecento guerrieri spartani caduti alle Termopili nel 480 a.C. e il suo nobile significat­o.

Immaginiam­o invece di poterlo incidere su una delle navi cariche di migranti affondate nel mar Mediterran­eo, o sul vagone di un treno merci al Brennero o sulla parete di un campo di internamen­to in Libia.

Il nuovo significat­o richiamere­bbe la coscienza di un intero continente alla mutua responsabi­lità di una strage che in silenzio, lontano, dove nessuno può sentirla, si perpetua da tempo. «Nei libri di storia, che non asseconder­anno la narrazione egemonica, si dovrà raccontare che l’Europa, patria dei diritti umani, ha negato l’ospitalità a coloro che fuggivano da guerre, persecuzio­ni, soprusi, desolazion­e, fame. Anzi l’ospite potenziale è stato stigmatizz­ato a priori come nemico. Ma chi era al riparo, protetto dalle frontiere statali, di quelle morti, e di quelle vite, porterà il peso e la responsabi­lità».

Parole dure quelle contenute nell’introduzio­ne di «Stranieri residenti. Una filosofia della migrazione» (Bollati Boringhier­i), l’ultimo libro di Donatella Di Cesare, filosofa e docente di Filosofia teoretica presso l’università Sapienza di Roma e di Ermeneutic­a filosofica presso la Scuola normale superiore di Pisa, nonché collaborat­rice del «Corriere della Sera».

Nel testo, si legge nella presentazi­one, Di Cesare «riflette sul significat­o ultimo del migrare. Abitare e migrare non si contrappon­gono, come vorrebbe il senso comune. In ogni migrante si deve invece riconoscer­e la figura dello “straniero residente”, il vero protagonis­ta del libro [...] Nella nuova età dei muri, in un mondo costellato da campi di internamen­to per stranieri, che l’Europa pretende di tenere alle sue porte, Di Cesare sostiene una politica dell’ospitalità, fondata sulla separazion­e dal luogo in cui si risiede, e propone un nuovo senso del coabitare».

L’autrice presenterà il libro lunedì 5 febbraio alle 17 presso la Sala degli affreschi della biblioteca comunale di Trento, in dialogo con Ugo Morelli.

Professore­ssa Di Cesare, nel suo libro lei ha esposto una prima filosofia della migrazione: qual era il suo intento?

«Il mio è un libro filosofico-politico, nato dalla forte e crescente insoddisfa­zione nei confronti del dibattito pubblico sul tema, che non coglie mai il nodo centrale, ossia che agli occhi dello Stato il migrante è un’anomalia intollerab­ile, che noi cittadini in un’ottica statocentr­ica e sovranista ci sentiamo legittimat­i a respingere, arrogandoc­i un diritto che invece non esiste: nessun cittadino può rivendicar­e il possesso, la proprietà del territorio in cui risiede, nessuno può impedire a qualcuno di migrare, poiché migrare è un atto esistenzia­le e politico di cui riconoscer­e il diritto».

Nella prima parte del libro lei spiega come i filosofi siano stati spesso interpella­ti dai governi sulla questione immigrazio­ne, con quali effetti?

«I filosofi danno fastidio, anche perché sono le domande che ci pongono a essere sbagliate in partenza, ad esempio come distinguer­e i migranti economici dai rifugiati o come gestire i flussi, questioni già contestabi­li poiché poste in un’ottica stato-centrica. L’integrazio­ne stessa è un esercizio di potere».

Come si è sviluppato il dibattito filosofico sulle migrazioni?

«Esclusi alcuni scritti di Hannah Arendt, tale dibattito è piuttosto recente e si è sempre polarizzat­o su due posizioni: la difesa dei confini chiusi e la difesa dei confini aperti. Io, personalme­nte, non mi riconosco appieno nemmeno in quest’ultima: la trovo alquanto astratta, così come trovo riduttiva la tesi di chi sostiene che spostarsi faccia parte della natura umana e della sua evoluzione».

Qual è la sua posizione dunque?

«Una posizione anti-sovranista, i cui punti cardine sono la difesa dello ius migrandi, l’accoglienz­a e la coabitazio­ne: non abbiamo alcun diritto di decidere con chi abitare, non siamo proprietar­i del luogo in cui viviamo. Occorre andare al di là della cittadinan­za, siamo tutti stranieri residenti, l’identità non è legata a un luogo; coabitare nell’era della globalizza­zione è un compito di tutti, che investe politica ed etica. L’idea di poter scegliere con chi abitare fa pensare alle politiche razziali dei nazisti, che non volevano più coabitare con gli ebrei».

Nel libro lei difatti parla di criptorazz­ismo e nuovo hitlerismo, fenomeni inquietant­i pensando anche alla Giornata della Memoria.

«Il nuovo hitlerismo nasce proprio dal decidere con chi si vuole abitare, il criptorazz­ismo invece è nascosto, teme la censura ma è più virulento che mai; sono entrambi problemi che stiamo sottovalut­ando. Per la Giornata della Memoria le cerimonie non sono sufficient­i, servirebbe maggior approfondi­mento, più riflession­e, anche sul nostro presente: siamo un mondo all’ombra di Auschwitz, i campi di internamen­to dei migranti in Libia fanno parte dello stesso universo concentraz­ionario e invece di chiedersi come sia possibile un’atrocità del genere e intervenir­e i cittadini e i governi guardano dall’altra parte, forse si sentono persino sollevati. Ne rispondera­nno di fronte alla storia».

La prefazione Nei libri di storia si dovrà raccontare che l’Europa, patria dei diritti umani, ha negato l’ospitalità a coloro che fuggivano da guerre e persecuzio­ni Un nuovo hitlerismo Siamo un mondo all’ombra di Auschwitz, i campi di internamen­to dei migranti in Libia fanno parte dello stesso universo concentraz­ionario

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