Kippenberger e Lassnig al Museion Il corpo deforme è arte che irrita
Inaugurazione Apre oggi «Body Check»: dialogo di genere in 60 opere Atteso il vescovo Muser per chiudere il capitolo della «rana crocifissa»
Come qualcuno ricorderà, «Gianna prometteva pareti e fiumi». Museion fa addirittura di più: li garantisce. Perché il
percorso dell’esposizione Body Check. Martin Kippenberger - Maria Lassnig (inaugurazione questa sera alle 19) è allestita tra pareti che, escludendo quell’ambiente esterno che solitamente irrompe attraverso le ampie vetrate del museo, permette di incanalare due «fiumi» artistici solo apparentemente simili. Uno, Kippenberger, è un fiume «maschio» e profondo in cui confluiscono torrenti di ogni genere; l’altro, Lassnig, è più «femminile» e «pulito» ma anche meno impetuoso. Due «fiumi» paralleli che si sfiorano ma che corrono fianco a fianco senza incontrarsi mai.
L’appassionatissimo curatore Veit Loers ha collocato tutte le opere di Martin Kippenberger sulla sinistra del percorso e tutte quelle di Maria Lassnig sulla destra, le une di fronte alle altre, facendole dialogare ed evidenziandone le somiglianze e le differenze. A un primo sguardo, alcune opere possono persino spingere a chiedersi chi abbia dipinto cosa, ma basta soffermarsi un attimo per comprendere le consistenti difformità. Entrambi mettono il corpo al centro della propria opera, ma quelli di Lassnig sono ossessivi, introversi e deformi, quelli di Kippenberger appaiono grotteschi, ironici e multiformi. Detto altrimenti, è evidente che Maria Lassnig vuole dirci «qualcosa» mentre Kippenberger preferisce dirci «tutto». Nel «fiume» Kippenberger confluiscono, solo per fare qualche esempio, Théodore Géricault, Francis Bacon, Basquiat e Pablo Picasso. Alcuni sono solo evocati, altri apertamente «citati», come lo scultore britannico Henry Moore, ripreso e «parodiato» nell’opera Familie Hunger. È il primo grande lavoro scultoreo dell’artista tedesco ed esplicita al meglio il suo inconfondibile senso dell’umorismo. Le opere sono, infatti, «copie» di quella creata dalla scultrice che Jeff Jefferies (interpretato da James Stewart) osserva dalla più famosa finestra sul cortile della storia del cinema, quella immortalata da Alfred Hitchcock. Ma Kippenberger non si limita a «citarla»: la moltiplica e la trasforma nella «famiglia Hunger» (la «famiglia affamata») i cui componenti hanno un evidente «buco nello stomaco».
Restando dalle parti del «mal di pancia», tra le opere selezionate per Body Check non c’è la «rana crocifissa»
(Zuerst die Füße) che tanto fece discutere dieci anni fa. Questo non significa che manchino i crocifissi e che le rane non popolino il «fiume Kippenberger» che scorrerà tra le pareti di Museion fino al prossimo 6 maggio. Sono presenti entrambi, ma in forme differenti e distanti che dimostrano quanto quello scandalo fosse figlio di un clamoroso fraintendimento. Chi nasce in montagna sa di essere costretto a scegliere: scendere a valle, dove tutto confluisce in un fiume difficile da ingabbiare, o restare sulle pendici del monte, aggrappato a un mondo faticoso ma noto. Indubbiamente dall’alto le cose si vedono meglio, ma spesso si perdono suoni, odori e dettagli. La mostra che verrà inaugurata oggi offre l’occasione giusta per «chiudere i conti», per comprendere meglio uno degli artisti tedeschi più importanti del dopoguerra ma anche per «scendere a valle», per riosservare il proprio «cortile» a dieci anni di distanza. Magari qualcuno scoprirà che si è piacevolmente allargato e che, in fondo, il «cattivo» non era così male. (Non a caso il vescovo Ivo Muser sarà presente all’inagurazione).
Passando ai dettagli, la mostra ospita oltre sessanta opere: principalmente dipinti, ma anche disegni, sculture e video che mai (o molto raramente) sono stati presentati in Italia. Per l’occasione, il quarto piano di Museion è stato completamente ridisegnato
da Marco Palmieri utilizzando le già citate pareti indipendenti. Concludendo, le celebrazioni per i dieci anni della sede di Museion non potevano iniziare in maniera migliore. Il «figurativo» torna a riempire le sale, ma lo fa senza tradire lo spirito dell’arte contemporanea, invitando a interrogarci continuamente su quanto ci viene proposto. O, come da «rivendicazione» della direttrice Letizia Ragaglia: «Amiamo proporre percorsi che non si conoscono o riconoscono. Questo è il nostro compito: fare riflettere e, se capita, anche irritare».