Sir Tate, un grande Il maestro Mariotti gli rende omaggio
Martedì e mercoledì in regione echeggeranno sinfonie di Schubert e Brahms L’erede: «Devo tutto alla vostra orchestra. Suonare qui, un onore e un privilegio» Mariotti dirige due concerti dedicati al maestro: «Avrei voluto incontrarlo»
Capita - ed è un bene per tutti - che anche una orchestra sinfonica sia testimone della Storia. Ecco allora la Haydn proporre martedì e mercoledì prossimi a Bolzano e a Trento due concerti diretti da Michele Mariotti, ormai entrato nell’Olimpo delle bacchette della sua generazione. E che si prepara a dirigere Les Huguenots di Meyerbeer, Don Pasquale di Donizetti e La traviata di Verdi durante la prossima stagione 2018/2019 dell’Opéra di Parigi.
Ed ecco ancora che le due serate siano «in memoriam» di Sir Jeffrey Tate, grande amico della Haydn, scomparso improvvisamente lo scorso primo giugno, subito dopo aver diretto proprio la Haydn.
Tate, che ha rilasciato la sua ultima intervista a questo giornale, ci confidò l’emozione «verso una Nona di Mahler che parla di Natura, di Morte e di quanto troveremo dopo. Avverto quasi un pericolo ma dirigere mi offre la possibilità di continuare a vivere». Anche allora i concerti ricordarono un musicista: Andrea Mascagni.
Tutt’altro programma quello scelto allora da Tate per i successivi concerti e poi cancellato dalla morte. Due scelte sposate da Michele Mariotti con un rispetto e un affetto mirabili. Di Schubert la Sinfonia n. 7 in si minore, «Incompiuta» e di Brahms la Sinfonia
n. 4 in mi minore, op. 98.
Maestro Mariotti lei dirigerà queste partiture in omaggio a Sir Tate. Ritiene anche che Schubert e Brahms possano convivere in un unico programma?
«Entrambe le cose. Il rispetto verso una personalità come quella di Tate è acquisita. Poi, lei lo sa, io sono uno “schubertiano” e sono stato dunque “invitato a nozze”. Quanto all’accoppiata di autori, parliamo delle facce diverse ma complementari dello stesso Romanticismo. Quello di Schubert più velato e quotidiano, quello di Brahms un capolavoro concettuale».
Schubert e Brahms sono uniti anche dalla concezione del silenzio.
«Perfettamente d’accordo. Vivono silenzio e pause in modo affine. Due autori, insomma, che stanno benissimo insieme. Pur con le loro diversità».
Che cosa prova, con la sua esperienza così solida e fervida, a dirigere partiture che la attraggono ma, anche, in memoria di un altro musicista?
«Devo tutto alla Haydn e al suo direttore artistico Daniele Spini. Quando ho lavorato per la prima volta con questa orchestra, ho avuto netta la sensazione di conoscerla ed apprezzarla da sempre. E questo per me è essenziale: fare musica insieme. Non vedevo l’ora di ritornare. In più per una occasione speciale. Per me, un onore e un privilegio. Spero di essere all’altezza…».
Possiamo serenamente ipotizzare un rotondo «sì». A giudicare dal suo lavoro come Direttore a Bologna, poi come protagonista dell’ultimo Festival di Salisburgo e della prossima stagione dell’Opéra parigina. Ma lei ha conosciuto Sir Jeffrey personalmente?
«No, purtroppo. Sapevo bene chi fosse. Avrei voluto incontrarlo durante le sue stagioni al San Carlo di Napoli ma non ce l’ho fatta».