Lo stoner folk bergamasco delle Capre A Sonagli scuote l’Upload On Tour
Le Capre A Sonagli assicurano estro e fantasia musicale all’appuntamento di stasera al Molin de Portegnach di Faver (ore 21), seconda tappa trentina di Upload On Tour in collaborazione con l’associazione Sorgente90. La band bergamasca propone uno stoner folk roccioso e assolutamente originale, capace di fondere più stili musicali e fare della voce un ulteriore strumento.
Il gruppo formato da Stefano Gipponi (voce, chitarre, banjo e pianoforte), Matteo Lodetti (basso, armonica, flauto), Enrico Brugali (batteria e percussioni) e Giuseppe Falco (chitarra) è nato nel 2010 e nel giro di tre album si è affermato come una delle realtà più interessanti del rock indipendente italiano. Dopo le ottime prove di Sa di Capra (2012) e Il fauno (2015), nel 2017 realizzano Cannibale, prodotto da Tommaso Colliva (Calibro 35) e uscito per un’etichetta importante come la Woodworm Label. Proprio dalla nostra regione riparte il calendario live della band che nel 2016 aveva partecipato al Sot Ala Zopa in Primiero, stupendo tutti per energia e intensità. Ne abbiamo parlato con il chitarrista Giuseppe Falco. Prima del concerto principale si esibiranno le tre band iscritte a Uploadsounds: Humus (Trentino), Perin&Barbarossa (Alto Adige) e Sorrow Down (Tirolo).
Perché «Capre A Sonagli»?
«Io dei quattro sono l’ultimo arrivato: gli altri tre si conoscono dai tempi delle scuole medie e suonavano già assieme nei Mercuryo Cromo. Poi la decisione di evolversi con un progetto musicale stoner-folk dai tratti desertici e a quel punto sono entrato io come chitarrista. Il nome è stato scelto dopo una serata alcoolica: tra gli altri papabili, “Banane Da Frigo”. Tutto sommato direi che è andata bene».
«Cannibale» vi ha fatto fare il grande salto a livello di produzione e notorietà: com’è stato lavorare con Tommaso Colliva?
«Ci siamo conosciuti per aver aperto negli scorsi anni alcuni concerti dei Calibro 35: gli abbiamo proposto i nuovi brani e lui ha voluto lavorare con noi in studio. È stato un onore e una bella esperienza: tutto quello che fa è frutto di competenza e capacità, ma il lato umano è forse ancora superiore a quello tecnico. Ci ha fatto sentire dei musicisti veri tirando fuori il meglio di noi: oltre alla cura dei suoni la novità di questo disco sta nell’importanza e la scoperta della voce. Nel disco parliamo del nostro mondo cercando di enfatizzare i parametri del grottesco e dell’assurdo: nei testi siamo lucidamente allucinati».
Cosa ricordate del Trentino e cosa proporrete a Faver?
«Due anni fa abbiamo suonato al Sot Ala Zopa: era settembre ma sembrava dicembre, pioveva tipo Woodstock ma con quaranta gradi di meno, eppure ricordiamo il gran coinvolgimento e la bella gente attorno. Non vediamo l’ora di tornare, tanto più che per noi è la prima data del nuovo anno: proporremo esattamente un terzo di canzoni tratte da ogni nostro disco così da farci conoscere nella nostra globalità».