Una repubblica migliore
È un tempo malinconico per gli elettori, indotti — a causa dei «criteri» assunti dai più potenti capipartito nella formazione delle liste — ad abbandonare il voto, astenendosi. Tra le riflessioni emerse in queste giornate c’è quella di Aldo Cazzullo che, mercoledì, ha ospitato sul una lettera molto critica sulla vigente legge elettorale, nella quale si sostiene come, con il sistema proporzionale «senza preferenze» e poi con i collegi uninominali, «i futuri onorevoli siano scelti dai segretari di partito».
Al riguardo vorrei aggiungere alcune considerazioni. Non sempre, anzi, il proporzionale è stato ed è «senza preferenze»: nella vituperata Prima repubblica, quando per l’elezione della Camera vigeva il sistema proporzionale, gli elettori potevano esprimere le proprie preferenze scegliendo da un lungo elenco di candidati che ogni partito proponeva, dopo votazioni interne e discussioni che non duravano una notte o mezza giornata e non si risolvevano in un blitz dell’ultima ora, ma coinvolgevano tanti iscritti e militanti, i quali — non sempre, ma di solito — premiavano chi aveva più provata capacità ed esperienza. Non era il segretario di partito a decretare dispoticamente l’elezione dei parlamentari, ma neanche le assemblee di partito: l’ultima parola spettava ai cittadini. Certo, sotto le preferenze potevano nascondersi le cordate opache, i voti di scambio ed altro ancora: ma non c’è sistema elettorale che sia immune da usi distorti quando si vuol fare il male.
Sempre nella diffamata Prima
repubblica tutti i candidati per il Senato venivano proposti in collegi uninominali, quindi i partiti erano «costretti schierare i migliori», per usare le parole di Cazzullo.
Dunque esisteva nel vecchio sistema elettorale proprio un mix — possiamo dirlo? — «virtuoso» che univa proporzionale «con preferenze» per la Camera (non «senza preferenze» come ora) e uninominale con «costrizione» a schierare i migliori per il Senato. Eppure,
come accennato, le preferenze — oggi tanto rimpiante — furono demonizzate come fonte di intrigo con gli elettori, mentre l’uninominale al Senato non venne più di tanto decantato.
In questa stagione, ricorrendo i 40 della morte di Aldo Moro, lo storico Guido Formigoni ha ricordato che quel leader «prendeva in Puglia duecentomila preferenze, girando per tutti i paesi con i contadini che accorrevano ai suoi discorsi». È un esempio dei più fulgidi, di come andava allora. Avevamo un sistema che, imperniato sui partiti — come previsto dai padri della Costituzione repubblicana, «la più bella del mondo» — restava parimenti aperto alle scelte e valutazioni degli elettori. Era una repubblica dei partiti e dei cittadini, con tanti vizi ma probabilmente migliore di quella attuale: negli scorsi anni Novanta si è abbattuta, a che pro?
Nicola Zoller,