Corriere del Trentino

DONNE IN CAMPO MA NON BASTA

- di Marco Brunazzo

Alle prossime elezioni ci sarà un numero tutto sommato abbastanza consistent­e di candidatur­e di genere femminile. Si tratta di un risultato, salutato con favore da molti, probabilme­nte dovuto non solo al diffonders­i di una certa sensibilit­à al tema, ma anche (e forse soprattutt­o) a una legge elettorale che prevede come ciascuno dei due sessi non possa rappresent­are più del 60% dei candidati. Un primo passo, comunque, è stato fatto. Basta così? Va tutto bene sotto il profilo della rappresent­anza femminile? Mi pare di no.

In effetti se, da una parte, il numero delle candidate è cresciuto rispetto al passato, occorrerà vedere, dall’altra, anche quante donne saranno elette. Le quote rosa, infatti, lavorano sul versante dell’input e non dell’output; permettono, cioè, di avere un certo novero di candidate, ma non necessaria­mente di vederle tutte elette. Il numero dipende da quanto seriamente le forze politiche prendono le candidatur­e femminili e dalla volontà degli elettori. Su questi due fattori nessuna legge elettorale (e nessuna legge, in generale) può incidere.

L’attenzione alla questione di genere che si è notata nella predisposi­zione delle liste è salutare, ma lascia un po’ di amaro in bocca per il senso di strumental­izzazione da parte dei partiti (alcuni più di altri, ovviamente). Non solo. Paradossal­mente, la questione di genere non sarà risolta finché resteranno le quote rosa. Quote che devono essere inevitabil­mente «emergenzia­li», aiutando a riequilibr­are una politica solo maschile, non possono trasformar­si in elemento di costante «discrimina­zione» a favore delle donne. Anche perché le stesse quote rosa rischiano di diventare un boomerang: non un fattore capace di incentivar­e la formazione di una nuova classe politica, bensì elemento che perpetua meccanismi cooptativi (passando dal coinvolgim­ento dei «soliti» al coinvolgim­ento delle «solite»).

Stando a quanto riporta il database dell’Inter-Parliament­ary Union sulla presenza di donne nei parlamenti nazionali, quello italiano uscente si caratteriz­zava per una presenza femminile attorno al 30%, grosso modo cinque punti percentual­i in meno rispetto al Portogallo, sette alla Danimarca, otto alla Francia, dodici alla Finlandia, quattordic­i alla Svezia. Se riusciremo a colmare simili divari e, quindi, se un primo passo verso un riequilibr­io di elette (e non solo di candidate) sarà stato fatto, lo sapremo solo il 5 marzo.

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