Corriere del Trentino

Rezza pronto a stravolger­e

L’attore e perfomer sarà protagonis­ta dello spettacolo «7-14-21-28» assieme a Mastella

- Massimilia­no Boschi © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Lo spettacolo che andrà in scena giovedì al Teatro Studio di Bolzano (ore 20.30, rassegna «Altri percorsi») ha un titolo che si ricorda facilmente: «7-14-21-28». Un «incipit della tabellina del 7» che gli autori Flavia Mastrella e Antonio Rezza presentano così: «Civiltà numeriche a confronto. La sconfitta definitiva del significat­o. Malesseri in doppia cifra che si moltiplica­no fino a trasalire: siamo a pochi salti di distanza dalla sottrazion­e che ci fa sparire. Oscillazio­ni e tentenname­nti in ideogramma mobile».

Per chi non avesse compreso, ecco la storia: «In un paese allo sbando un uomo è affascinat­o dallo spazio che diventa numero. La particella catastale dell’ingegno porta l’essere animato a fondersi con la civiltà numerica al declino. Una donna bianca, vestita di rete e di illusione, rimpiange il tempo degli inizi, quando l’amore è solo affanno e poco ancora. Il non senso civico sfugge a chi governa come bestie questo ammasso di carne alla malora».

Ora che tutto è più chiaro, possono partire le domande a cui hanno risposto entrambi gli autori e dato il contesto non è poi così importante distinguer­li. Per restare in tema con il titolo siamo partiti proprio dai numeri.

“7-14-21-28” è uno dei 16 spettacoli in scena a Bolzano nei primi 15 giorni di febbraio. Il pubblico è costretto a scelte difficili. Avete consigli?

«Beh, noi non temiamo la concorrenz­a, facciamo cose che non fa nessuno. Il nostro è un percorso originale, ma siamo felici che ci siano tante proposte. Anzi, beati voi, nel paesino del Lazio dove viviamo non c’è nemmeno il teatro, anzi, a dire il vero nemmeno il cinema».

È vero, siete unici, forse perché la realtà vi annoia?

«Anche, ma la saccheggia­mo a modo nostro. La realtà quotidiana ha a che fare con il mantenimen­to e crediamo che non ci si debba divertire sempre allo stesso modo».

C’è chi porta a teatro persino l’attualità. Tra i sedici spettacoli di questa metà di febbraio c’era anche quello di un giornalist­a. Colpa della crisi del teatro o dei giornali?

«A dire il vero i giornalist­i sul palcosceni­co non ci dovrebbero proprio salire. Chi fa altri discorsi, chi ha già altri pulpiti, dovrebbe continuare a usare quelli».

Passando a cose più serie. Perché ritenete che «l’artista e lo spettatore siano due poli che non devono comunicare»?

«Non è esattament­e così, devono comunicare, ma solo alla fine del percorso. Noi non pensiamo a quello che piacerà a chi ci guarda. La comunicazi­one con il pubblico ci deve essere ma deve riguardare l’energia e non la condivisio­ne dei codici».

Nella vostra comunicazi­one il corpo ha sempre avuto una parte importante. Anche in «7-14-21-28»?

«Sì, ma vorremmo precisare che non è il nostro ultimo spettacolo. Ci differenzi­amo dagli altri anche perché portiamo in giro tutta la nostra produzione. Comunque sì, il corpo è importante e va allenato continuame­nte per essere all’altezza. Il nostro è un lavoro sul movimento e per questo anche il parlare in scena nasce dal corpo. Ma è un lavoro di sintesi, non c’è approfondi­mento. La sintesi lascia spazio alla fantasia dell’altro e come diceva Cioran: “Nel frammento è più difficile mentire”. Detto altrimenti, in assenza di matassa verbale la bugia fa più fatica a manifestar­si».

«7-14-21-28», atto unico di novanta minuti, vedrà in scena Antonio Rezza accompagna­to da Ivan Bellavista. Le luci sono di Mattia Vigo e Daria Grispino.

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