LA CONOSCENZA LIBERA I SUDDITI
Si stanno ripetendo episodi che mettono in evidenza la progressiva alienazione del rapporto tra istituzioni educative — prima di tutto la scuola — e i giovani che le frequentano. Anche a livello locale, seppur a fronte di tentativi di innovare la didattica e qualificare l’apprendimento, prevale una dimensione standard che si affida solo alla valutazione rituale e non si pone il problema di creare contesti educativi all’altezza del tempo in cui viviamo.
In particolare, a essere trascurati sembrano due aspetti. Da un lato la pervasiva dominanza delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione nella costruzione dell’esperienza delle nuove generazioni, dominanza che appare del tutto fuori controllo, se non subita, a livello educativo. Dall’altro, strettamente connessa al primo problema, la marginalità e la crisi delle agenzie educative nella messa a punto del patrimonio di conoscenze del mondo giovanile. Naturalmente, ciò vale anche per i bambini, se si considera la situazione delle scuole elementari, laddove esistono sistemi relazionali più efficaci, ma un forte ritardo nell’esigenza di aumentare le menti in rapporto alle trasformazioni in corso nell’informazione e nella comunicazione delle conoscenze e dell’esperienza. Nel frattempo, inseguendo le ragioni della sfera occupazionale, le risposte che si forniscono sono orientate a schiacciare educazione e formazione sulle cosiddette competenze, nel tentativo di soddisfare esigenze di breve periodo.
Ma proprio a questo deve servire la scuola? Basterebbe consultare la Costituzione per avere la risposta. Non solo lo scopo della scuola è la crescita umana, civile, sociale delle persone, ma rispondere a esigenze di professionalità oggi non può voler dire attivare automatismi per cui si ritiene che l’unica funzione debba essere la preparazione di capacità pratiche spendibili subito, tanto più se quelle capacità saranno già obsolete domani.
Perché il mondo dell’istruzione si comporta così? Sta giocando in difesa, smarrendo la propria funzione di anticipazione e innovazione sociale, bloccando la mobilità sociale. Del resto tale tendenza è in linea con quanto accade nella società, sempre più al traino dell’economia. Senza considerare che, se non si vuole essere solo sudditi in comunità marginalizzate, dev’essere la conoscenza a far girare l’economia. E il sapere lo esprimono e generano gli esseri umani con una testa ben fatta.