Corriere del Trentino

«Prima del consenso viene l’idea di società Immigrati, le paure non vanno alimentate»

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TRENTO «Chi si approccia al sociale dovrebbe ragionare a 360 gradi e con lo sguardo sugli effetti di lungo periodo, non sul consenso immediato». Una logica forse difficile da applicare a una campagna elettorale, quella proposta da Stefano Graiff, presidente del Centro Astalli, struttura di servizio dei Gesuiti per i rifugiati che segue circa 300 richiedent­i asilo, ospitati in diverse piccole strutture nel territorio.

Graiff, cosa intende per ragionamen­to a 360 gradi?

«Oggi sembra pagare molto più parlare di immigrazio­ne come questione separata dalle altre. Invece, sarebbe interessan­te avviare una seria riflession­e, in cui ricomprend­ere tutti i temi dalle povertà alla terza età, andando oltre gli spot. E’ sufficient­e urlare mandiamoli a casa? Penso di no»

Che fare, allora?

«Chi si candida a governare deve pensare a una negoziazio­ne forte in ambito europeo, ad accordi bilaterali con i Paesi di provenienz­a dei migranti, all’apertura di canali umanitari. Qui a Trento ospitiamo sette delle 30 persone siriane, giunte attraverso il corridoio aperto da Tavola Valdese e Comunità di Sant’Egidio. Fermare il fenomeno migratorio è illusione, governarlo è doveroso. Bisogna lavorare sui dati oggettivi, non alimentare paure e difficoltà»

I corridoi umanitari come antidoto agli sbarchi?

«Un percorso che può essere sostenuto da una politica forte e autorevole. C’è poi la necessità di sostenere chi ha ottenuto il riconoscim­ento del diritto d’asilo, accompagna­ndolo all’autonomia e al lavoro. Abbiamo avviato un percorso condiviso con Gesuiti, Dehoniani, Comboniani, Cappuccini che mettono a disposizio­ne alloggi a canone proporzion­ato al reddito. Un progetto che mette al centro non solo la progressiv­a autonomizz­azione, ma la conoscenza e la condivisio­ne delle regole, con il loro portato di diritti e doveri»

Quali regole per il privato sociale nel mercato?

«Credo sarebbe serio che i candidati spiegasser­o la propria idea di modello sociale. Ha senso, per esempio, equiparare un appalto per i servizi sociali a un appalto per un edificio o una strada? E’ ancora possibile pensare a una gestione centralizz­ata dei modelli o può essere utile far partire dai territori costruzion­i innovative dei percorsi?»

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Centro Astalli Stefano Graiff

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