Collini rilancia sulla formazione
Il rettore: «Professionali, si può sperimentare». Rossi: «Un percorso possibile»
Una sperimentazione sulla formazione terziaria professionalizzante per affrontare il nodo dei pochi iscritti all’ateneo. Lo propone il rettore Collini. «Noi ci siamo» è la risposta del governatore Rossi.
Uno sguardo al passato e uno al futuro. Otto dipartimenti su dieci inseriti nell’elenco delle strutture nazionali d’eccellenza, i primi vagiti di un Competence center con altri otto atenei del Nordest (tutti presenti alla cerimonia di ieri), il debutto di un nuovo centro con la Fondazione Mach (C3A, il centro agricoltura alimenti ambiente), l’annuncio di una convenzione imminente con l’Eurac e un accordo-quadro in via di definizione con la Libera università di Bolzano. Ma, soprattutto, la volontà di farsi carico della mesta carenza di laureati, in Italia e in Trentino. Il rettore Paolo Collini, nella cinquantaseiesima inaugurazione dell’anno accademico, ha orientato la bussola dell’università di Trento. L’ha fatto con un proposta subito recepita da Ugo Rossi: «Tentare una sperimentazione per la formazione terziaria professionalizzante, chiedendo al governo centrale la possibilità di pensare qualcosa di diverso». «Noi ci siamo», ha subito risposto il governatore.
Occasione simbolica, ma al tempo stesso finestra pragmatica per incontrarsi e parlarsi. De visu. La tradizionale inaugurazione dell’anno accademico, ieri in agenda nell’auditorium di Lettere, s’è rivelata momento per tracciare un bilancio dei successi che l’ateneo ha inanellato nell’ultimo anno. «Siamo orgogliosi di realizzare l’obiettivo che si erano posti i fondatori della nostra università, ovvero essere il magnete capace di attrarre in questo territorio intelligenze, competenze e risorse», ha esordito Collini, ricordando che due terzi degli iscritti provengono da altre regioni del Paese («Il segno più affidabile del nostro successo», ha sottolineato). Tuttavia, per definizione attento alla promozione della conoscenza nel territorio che lo ospita, l’ateneo ha oggi un ulteriore imperativo: «Aumentare la percentuale di giovani che scelgono di proseguire gli studi».
Come? Un’idea già c’è: «La Provincia ha la competenza per la formazione professionale, ha una delega in materia di università, ha sul suo territorio un ateneo di ricerca credibile: ci sono le condizioni per tentare una sperimentazione per la formazione terziaria professionalizzante utilizzando anche lo strumento delle lauree professionalizzanti, ma all’interno di un progetto unitario che eviti la concorrenza con l’alta formazione professionale e veda il concorso delle categorie interessate e del sistema delle imprese». L’università è pronta a fare la sua parte. «Ma bisogna fare in fretta. Bisogna agire chiedendo al governo centrale di darci la possibilità di sperimentare qualcosa di diverso».
«Confermo la nostra piena disponibilità anche a nome dell’assessora Sara Ferrari — ha subito risposto il governatore —. È qui che si inserisce la delega; è un ulteriore esercizio di espressione di un’autonomia forte». Citando Bruno Kessler, il presidente ha quindi ribadito la volontà di insistere su tre livelli: «Ricerca di eccellenza, ricerca di base e trasferimento al sistema produttivo».
Alla sua ultima inaugurazione accademica, dopo quindici anni alla guida del cda, Innocenzo Cipolletta ha tuttavia ricordato l’urgenza di alzare l’asticella e «investire di più in ricerca». Prima, però, s’è concesso una parentesi per ricordare gli anni trascorsi a Trento: «I miei ringraziamenti vanno anche e soprattutto alle istituzioni che sono state sempre molto vicine a noi». Due nomi su tutti: «A Lorenzo Dellai che, con vero spirito imprenditoriale, ha creduto nell’università come fattore di sviluppo del territorio e ha consentito a molti investimenti di prendere forma. A Ugo Rossi che, pur in situazioni finanziarie non facili, ha sempre tutelato i nostri spazi e ci ha accompagnati nella realizzazione di importanti progetti». Poi una cruda analisi numerica del quadro nazionale: «Noi stiamo meglio di altre università. Ma stare meglio non significa stare bene. È un fatto che l’Italia complessivamente sottofinanzi la ricerca e l’università. Siamo sotto del 33% come finanziamento per studente rispetto alla media dell’Ocse e sotto del 50% rispetto ai Paesi del Nord Europa. E poiché in Italia il numero degli studenti universitari rispetto alla popolazione è fra i più bassi dell’Europa, questo traduce un impegno del Paese per l’istruzione terziaria a livelli molto bassi». Di qui l’esortazione: investire di più nell’alta formazione. Persino qui. «Anche la nostra università avrebbe bisogno di maggiori risorse e meno vincoli».
A rispondere in differita è stata la ministra all’università, Valeria Fedeli, che in un lungo videomessaggio ha elogiato i risultati di Trento: «Le cifre dicono che l’università di Trento è stabilmente ai vertici nazionali e dal punto di vista competitivo brilla per capacità di attrarre finanziamenti, sia nazionali sia internazionali» ha detto. Quanto alle prospettive dell’Italia, Fedeli ha rivendicato il cambio di passo: «Il Paese sta lentamente emergendo da una lunga notte di tagli». «Il massiccio ingresso di 4.000 ricercatrici e ricercatori», a suo dire, ne sono l’esempio.
Cipolletta L’Italia complessivamente sottofinanzia la ricerca Siamo sotto del 33% rispetto alla media