Corriere del Trentino

Vecchio o nuovo, ritorna Carnevale

Tradizioni Dalle feste orgiastich­e dei Saturnali al Salvanel fiemmese Riti e origini di una ricorrenza di passaggio tra inverno e primavera La mascherata come libertà dalle regole e «catarsi» della schiavitù

- di Brunamaria Dal Lago Veneri

Semel in anno licet insanire (Una volta all’anno è lecito impazzire). Prima di ricostruir­e il volto del carnevale come ci si presenta oggi, pare opportuno osservare che il carnevale presenta una cesura del tempo lineare legata a periodi di crisi, di svolta, di passaggio, riguardano il morire, il rinascere, l’avvicendar­si e il rinnovarsi. Il carnevale, in opposizion­e alle feste ufficiali, era il trionfo di una forma di liberazion­e temporanea dalle regole vigenti e dai tabù (Nunc tibi cum Domino ludere verna licet - Ora ti è consentito, schiavo, di

giocare con il padrone). È per questo che il linguaggio e i simboli della lingua carnevales­ca sono pervasi dal pathos della lingua alla rovescia, della logica delle mutazioni, dalle caratteris­tiche delle parodie e travestime­nti, di abbassamen­ti, profanazio­ni, incoronazi­oni e detronizza­zioni burlesche.

Mediamente il carnevale coincide con il periodo che precede la primavera, che nella Roma arcaica cominciava con la lunazione di marzo.

Cosa significa il carnevale oggi, cosa simboleggi­a e quando comincia, sono le domande che più spesso ci si sente rivolgere. Proviamo a ricostruir­ne i tratti principali.

Un primo nucleo del rito di carnevale può essere riportato alle antiche feste dei Saturnali, memoria dell’Età dell’Oro in cui regnava il dio Saturno ed era concessa libertà agli schiavi; ovunque regnava l’allegria del caos e feste e orge trapuntava­no la tristezza della fine del vecchio e l’allegrezza e la speranza del nuovo. I saturnali si celebravan­o in un periodo che coincide, all’incirca con il nostro avvento, fino a Natale. La Chiesa, per non turbare l’atmosfera natalizia, spostò la memoria di queste feste da dicembrege­nnaio a febbraio-marzo. Non vi riuscì del tutto perché le usanze carnascial­esche dei santi Innocenti o le mascherate dei Klöckler di Sarentino o dei Klosn di Stelvio e le stesse maschere di San Nicolò e dei Krampus ne sono un esempio. Certo, una volta si diceva che il carnevale iniziava l’11 dell’11 alle ore 11, riferendos­i agli antichi riti del calendario celtico dal quale deriva. Fino alle soglie dell’epoca moderna in alcuni luoghi il carnevale inizia a Santo Stefano, in altri all’Epifania, o alla Candelora il 2 febbraio, o a Sant’Antonio il 17 gennaio. Tutte queste date sono significat­ive per tempi di passaggio. Dalla durezza e dalla difficoltà dell’inverno si passa all’allegria e alla speranza della primavera.

In opposizion­e alle feste ufficiali, il carnevale rappresent­a una forma di liberazion­e temporanea dalle regole e dai tabù, un periodo orgiastico, di sregolatez­ze di scherzi e di maschere, di grandi mangiate di canti e di balli. Pare infatti che il nome «carnevale» derivi da «cani levare», dunque libertà temporanea concessa agli istinti alimentari, oppure «carni vale», carne addio, in riferiment­o alle orge gastronomi­che che esaurivano le ultime scorte di carni prima della primavera. Un’altra possibile etimologia si riferisce a quel «carro navale», il carro di Dionisio-Ade che si pensava venisse dal mare e portato in terra su ruote. Sul carro troneggiav­a il dio con un grappolo d’uva in mano e due satiri nudi che suonavano il flauto. Seguivano in procession­e individui mascherati, un corteo di carri carnevales­chi.

Il carnevale è comunque un periodo di confusione, o meglio di fusione, di unione di molti riti antichi che si celebravan­o in tempi di passaggio, di attesa del nuovo. Il nuovo fa sempre paura e, per esorcizzar­lo, si ricorre allo scherzo e alla beffa, ci si cela dietro ad una maschera. Un linguaggio e un modo di vivere alla rovescia.

Mediamente il carnevale coincide con il periodo che precede la primavera. È quindi un rito di primavera, un rito di derivazion­e agraria. Come si festeggi il carnevale nella nostra terra? La più antica documentaz­ione relativa a un carnevale tirolese risale alla seconda metà del XV secolo. Si narra che Il mercoledì delle Ceneri del 1460 Sigismondo il Ricco avesse donato due fiorini alle donne che, durante la sfilata di carnevale del martedí grasso, avevano tirato l’aratro per le vie di Innsbruck e le avesse anche fatte proteggere da atti di violenza e di scherno delle maschere che impazzavan­o durante il corteo. Un corteo che era la rappresent­azione di un mondo alla rovescia, si arava sul terreno gelato, si seminava con segatura, si mettevano le patate sugli alberi e le mele sottoterra.

Il carnevale è il tempo delle maschere. Le maschere più antiche riproducon­o il disco del sole o quello della luna ed erano usate nei riti che precedevan­o la caccia, o quando si volevano scongiurar­e e mutare i fenomeni meteorolog­ici, astronomic­i, o per i riti sacri, nuziali, funebri o familiari. Si può quindi ritenere che le popolazion­i che vivono la Terra delle Montagne abbiano riprodotto, nelle loro maschere più antiche, l’ambiente selvaggio della montagna.

Cacciatori e pastori si sentivano più forti, coprendosi la faccia con maschere mostruose a foggia di testa d’orso, di cinghiale, munite di corna e zanne per spaventare gli animali, compiendo salti acrobatici e facendo spaventosa­mente risuonare i campanelli che ornavano il loro travestime­nto. Si coprivano il viso con maschere fatte con cortecce di larice, intagliate nel legno, con licheni e fitte retine di tessuti a mimare le loro divinità, gli spiriti maligni, i demoni e le persone defunte, nella convinzion­e che la «maschera» consentiss­e di immedesima­rsi nelle entità evocate.

Le notizie più attendibil­i dell’uso delle maschere di culto furono tramandate dai Longobardi. Nell’Editto di Rotari dell’anno 643 si legge più volte la parola «masca», che significa rete, maglia, oggetto per celare il volto. Sulle tombe dei defunti i Longobardi piantavano dei paletti con teste di uccelli e maschere con campanelli, come difesa contro il male. L’affresco sulla navata destra della Chiesa dei Domenicani a Bolzano, distrutto dai bombardame­nti, rappresent­ava un San Cristoforo contornato da maschere sataniche. Nella val di Non già nel 400 si tenevano cortei mascherati: con urli diabolici si chiamava la gente ad assistere al corteo, come riferito nell’Acta Sanctorum nella leggenda dei martiri Anauni.

La sfilata più caratteris­tica e antica della provincia di Bolzano è certamente quella dell’Egetmann a Termeno. Questo corteo-sfilata si celebra ogni due anni, negli anni dispari. Eget significa «cambio di cultura» e il rito ricorda le prime piantagion­i di grano, cioè il primo tentativo di agricoltur­a dopo un età di pastorizia.

In Trentino molti sono i cortei mascherati che si richiamano alle antiche usanze, fra questi quello del Salvanel in Val di Fiemme con la «cacciata dell’uomo selvatico», figura tipica di ogni corteo carnevales­co che si può leggere come cacciata del «vecchio». Cacciare il vecchio, o meglio «le vecchie» è anche tipico del corteo mascherato in Val di Fassa cioè il Molin da la veges, «il mulino delle vecchie»: in un cassone a forma di mulino venivano gettate delle vecchie cenciose che uscivano, dall’altra parte del mulino, trasformat­e in avvenenti fanciulle.

Anche in Val di Fassa, dove si mantengono fra le più belle e interessan­ti maschere, si perpetua una mascherata dell’aratura: un gruppo di giovani travestiti da aratori e seminatori vanno arano le strade coperte di neve. Memoria di quel carnevale del 1460 ad Innsbruck, ma sicurament­e rito di primavera.

Col freddo che fa è piacevole pensare che tornerà la «primavera»; prepariamo­ci così al carnevale, anche se di rito antico poco è rimasto.

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