«Io e altri figli adottivi torneremo in Corea Le donne soffrono»
Il progetto della runner. «Raccoglieremo anche fondi per le donne madri»
«Noi figli adottivi siamo stranieri due volte. Io, per esempio, sono italiana, ma se mi guardo allo specchio non vedo l’Italia; vedo la Corea, il mio paese d’origine, di cui però ignoro lingua». Naam Kim Soon D’Amato è nata a Seul, ma da quando ha quattro anni vive in Val di Cembra con la famiglia che l’ha adottata. Due identità in conflitto e ad un certo punto la necessità di armonizzarle, facendo pace con le proprie radici. Correndo. Da maratoneta, ha deciso di mettersi in gioco partecipando il 18 marzo alla Maratona di Seul. Il biglietto del volo è già in tasca e altri compagni d’avventura, accomunati dal suo stesso trascorso, sono pronti a partire con lei.
«Sono riuscita a coinvolgere una quindicina di figli adottivi coreani provenienti da tutto il mondo. Questo rende l’impresa ancor più trasversale e globale», spiega D’Amato. Il ritorno alle origini servirà anche per una buona causa. A dicembre, infatti, Naam Kim Soon ha cominciato a raccontare la propria storia e il valore simbolico della maratona che correrà a Seul per raccogliere fondi che devolverà a Kumfa, un’associazione coreana a sostegno delsocietà». le donne madri al di fuori del matrimonio. Un tema che le sta molto a cuore perché, seppure non smetta di ripetere che l’adozione sia stata la miglior chance che la vita le abbia dato, è convinta che la cosa più fisiologica per un bambino sia crescere nella propria terra. Sono tanti i coreani dati in adozione per colpa di un retaggio tradizionale che ancora oggi stigmatizza le donne non sposate che diventano madri. «Queste giovani — spiega — sono respinte dalla famiglia d’origine. Se non abortiscono o non danno in adozione il bambino, vengono relegate ai margini della D’Amato aveva già abbinato lo sport alla filantropia nel 2000, quando col suo «Tour de mat» in bicicletta — sempre in Korea — aveva raccolto fondi poi impiegati per avvicinare i disabili allo sport. Questa volta è riuscita a racimolare circa 2.000 euro, grazie al sostegno di piccoli commercianti e di volti noti dello sport trentino. «Ho raccontato la mia avventura a Trirunnis, un negozio di articoli sportivi di Pergine, e ne è rimasto entusiasta. Così, oltre ad avermi dato le scarpe con cui correrò a Seul, mi ha scritto una lettera di sostegno. Con questa, ho bussato a vari rivenditori, chiedendo piccoli contributi a sostegno dell’iniziativa. È arrivato anche l’appoggio di volti importanti dello sport trentino: Forray e Moser, Di Benedetti e Bertone mi hanno sostenuta ed è anche grazie a loro che sono riuscita a realizzare questo viaggio».
Con l’avvicinarsi del 18 marzo, sono poche le pressioni in termini di performance; molte di più le tensioni emotive. «Non ho idea di quale effetto mi farà correre questa maratona — racconta — Ho avuto poco tempo per prepararmi, ma chissà che l’emozione non mi sorprenda regalandomi un crono soddisfacente». La maratoneta della Val di Cembra arriverà tra un mese nel suo paese d’origine. Lo stesso che in queste settimane ospita le Olimpiadi invernali presentando una delegazione insolitamente unita, che vede la compartecipazione di atleti della Corea del nord e del sud. «L’accordo a cui sono giunti i due Paesi evidenzia che lo sport riesce ad arrivare dove la politica fallisce. Spero che questa cooperazione sia un primo passo verso un nuovo capitolo di storia meno conflittuale». Sperando di non trovarsi costretta a scegliere fra le radici e il suo paese d’adozione, «tiferò sia Italia che Korea», ride.
Identità Noi figli adottivi siamo stranieri due volte. Io sono italiana ma allo specchio vedo la Corea