Corriere del Trentino

Riforma statuto Regione, luogo di collaboraz­ione

Consulta, idea criticata. «Regione, spazio di collaboraz­ione»

- De Benedictis

Il ruolo della Regione e delle minoranze linguistic­he nel terzo Statuto d’autonomia sono stati i temi che hanno impegnato la Consulta trentina per la riforma dello Statuto alle prese con il documento finale. Alla fine è stata rilanciata l’idea di una Regione come spazio di collaboraz­ione tra Trento e Bolzano, luogo di cerniera delle due identità.

Sull’argomento ha aperto il confronto Matteo Cosulich. «Lo spirito del testo consiste nel trovare all’interno della Consulta un punto di equilibrio, che interpreti la Regione essenzialm­ente come ambito e struttura di collaboraz­ione». La Regione, così intesa, si vede assegnato un ruolo che punta meno sull’amministra­zione, per diventare struttura di collaboraz­ione. «Il tema è molto delicato — ricorda il politologo Paolo Pombeni — Intraprend­ere questa strada nell’ambito della crisi dello Stato italiano porterà il Trentino ad essere assorbito dalle altre Regioni limitrofe e il Südtirol a diventare una specie di San Marino», continua. L’altro aspetto del problema investe le competenze che dovrebbe avere la nuova Regione. Da un lato, potrebbe cedere alle due Province autonome quella sugli enti locali — l’unica attribuzio­ne di peso attualment­e in capo all’ente regionale — dall’altro si avverte l’esigenza di aggiungere competenze ulteriori. Tra le altre, le ipotesi riguardano la gestione dei trasporti, dell’ambiente, dell’acqua e di alcune politiche legate al territorio, come foreste, fauna e agricoltur­a. A chiudere il dibattito è stato Giandomeni­co Falcon, presidente della Consulta. «Il documento presentato è molto equilibrat­o — commenta — L’accento viene posto sia sulla necessità di rispettare l’esigenza difensiva riconoscen­done la corrispond­enza alla realtà storica, sia sull’interpreta­zione della Regione come struttura di collaboraz­ione».

Non meno spinoso il dibattito sulle minoranze linguistic­he. All’interno dei documenti e delle discussion­i preliminar­i, infatti, era già comparso il riferiment­o alle minoranze linguistic­he non storiche, ovvero quelle non composte da ladini, cembri e mocheni. L’attenzione si è focalizzat­a sulla proposta relativa all’aggiunta di due commi all’articolo 2 dello Statuto. «Il terzo comma fa esplicito riferiment­o alla valorizzaz­ione di altro pluralismo culturale e linguistic­o oltre quello storico», commenta Martina Loss (Lega). «Sono molto sorpresa — continua — Nel documento preliminar­e la maggioranz­a di noi aveva deciso che il discorso non poteva essere esteso a tutte le minoranze linguistic­he eccetto i ladini, i mocheni e i cembri». L’intervento di Martina Loss ha raccolto diversi assensi a cui ha provato a dare risposta Jens Woelk, vice della Consulta. «Penso che sia utile avere una clausola di apertura per il futuro, nonostante risulti indispensa­bile tenere sempre presente la differenza tra le minoranze storiche e le altre minoranze presenti», dichiara.

La mediazione finale è stata trovata sull’analisi di Paolo Pombeni. «Dobbiamo distinguer­e il diritto delle comunità in generale sulla possibilit­à che tali diritti abbiano ricadute sul piano istituzion­ale», sostiene. Da una parte si fa dunque riferiment­o alla valorizzaz­ione — intesa come riconoscim­ento di lingua e tradizioni — di tutte le minoranze linguistic­he. Dall’altra parte si specifica che la valorizzaz­ione non coincide con la garanzia di certi diritti, i quali vengono riconosciu­ti esclusivam­ente alle minoranze storiche.

 ?? (Rensi) ?? Confronto Martina Loss (Lega) e il presidente della Consulta, Giandomeni­co Falcon. Tra i punti contestati l’apertura al pluralismo sociale oltre i confini delle minoranze storiche
(Rensi) Confronto Martina Loss (Lega) e il presidente della Consulta, Giandomeni­co Falcon. Tra i punti contestati l’apertura al pluralismo sociale oltre i confini delle minoranze storiche

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