«Siamo alla politica del “fai da te” Incapace di fornire paradigmi per interpretare il nuovo mondo»
TRENTO «A settant’anni dalla convenzione di Ginevra, il fenomeno migratorio è ancora gestito con un metodo “fai da te”». È uno dei temi che maggiormente sta dividendo gli schieramenti politici e, nonostante questo, secondo la regista di origine iraniana Soheila Javaheri «manca una legge organica». «Per questo motivo ogni Provincia e Regione sta gestendo il fenomeno con i propri metodi e questo determina tanti problemi» prosegue Javaheri, portando l’attenzione su un sistema farraginoso che come prima e più diretta conseguenza determina una visione distorta dell’altro. «Non guardiamo ai rifugiati come una risorsa ma come un tema sul quale innestare delle polemiche — spiega — Pensiamo anche solo alle seconde generazioni di stranieri: sono ragazzi che parlano italiano, che hanno studiato nelle scuole italiane, che hanno amici italiani e che quindi si sentono italiani». Una «miopia», dunque, «essere ancora fermi alla discussione sullo ius soli». Ecco che l’integrazione «viene lasciata ad associazioni o a singole persone, che tentano di muoversi contro corrente, ma non vi è un’attività sistematica».
La mancanza di una regia organica, però, non apparterrebbe solamente all’Italia. «Anche in Francia o negli Stati Uniti è così — riprende — Manca una vera e propria politica sul tema, i discorsi mancano di contenuto, e questa mancanza viene riempita dalle polemiche».
Vuoto è anche il destino a cui spesso vengono abbandonati i più giovani. «Hanno la possibilità di formarsi, ma bisogna essere capaci di guardare oltre e chiedersi cosa potranno fare poi con quella formazione — prosegue la regista — I giovani devono studiare ma poi devono avere la possibilità di fare, di sbagliare e quindi di crescere, in modo che il loro merito venga riconosciuto. In Italia troppo spesso ci si affida alle relazioni, finendo così per mettere da parte il merito e di conseguenza si fa sempre più fatica a riconoscere il talento».
Manca insomma una visione. Pare non esservi traccia di un’indicazione verso uno dei tanti futuri possibili. «Ho un amico che ripete spesso: “Viviamo tra il non più e il non ancora”. Ci ritroviamo in un limbo, sospesi tra paradigmi che non sono più validi e l’assenza di nuovi capaci di offrirci gli strumenti per interpretare la realtà» riprende Javaheri, che intravede questa carenza anche quando, fatti scorrere gli altri, sotto i riflettori finisce il tema ambientale. «Le risorse a nostra disposizione sono limitate, tuttavia non c’è una visione verso il futuro — conclude la regista — Voterò per coloro che sapranno offrirmi nuovi concetti per interpretare il domani, facendo i conti con una rivoluzione digitale che sta trasformando la nostra vita».