Sait: fuga di notizie «senza colpevoli»
Dati sui lavoratori, anche non licenziati. Cgil: «Diritto all’informazione»
TRENTO Settimana scorsa un’assemblea della Filcams Cgil riuniva alcuni degli 80 lavoratori licenziati dal Sait e a chi lo chiedeva venivano fornite le valutazioni sulla base delle quali il consorzio ha scelto chi licenziare e chi no. Qualche lavoratore poi si è rivolto alla Uiltucs, denunciando il problema della pubblicazione di questi dati, che il sindacato ritiene sensibili e potenzialmente dannosi per chi deve cercare un nuovo lavoro. C’è il rischio di cause.
La Uiltucs denuncia la «forte preoccupazione sulla fuga di notizie, relativa a tutti i lavoratori, non solo i licenziati». Da parte sua la Fisascat Cisl fa notare che di prassi non si organizzano assemblee in cui si danno liberamente i dati. Ma si studiano le situazioni singole, ci si confronta con l’azienda per chiarire e poi si valuta se impugnare o meno. Tra l’altro con il dettaglio che un dipendente può conoscere la valutazione dei colleghi dello stesso reparto per far confronti, non di tutti. Vero è che in questo periodo pensare di controllare la diffusione di informazioni è utopico.
La Cgil si difende: «I licenziati, per esercitare il diritto costituzionale alla difesa hanno diritto di conoscere tutti i criteri e le valutazioni che hanno portato alla valutazione finale. Il sindacato è tenuto a consegnare le valutazioni esclusivamente ai diretti interessati, che possono utilizzarli solo allo scopo di esercitare il diritto di difesa e decidere se esistono le condizioni per opporsi al licenziamento. L’accesso a questa tipologia di dati, pur contenenti informazioni personali, è stata ribadita anche da una sentenza della Corte di Cassazione. Resta in capo al singolo la responsabilità per l’uso improprio delle informazioni ottenute».
Il Sait da parte sua si chiama fuori: «Abbiamo seguito la corretta procedura — dice il direttore Luca Picciarelli — È responsabilità degli enti che ricevono i dati trattare gli stessi in modo conforme alla normativa». Di chi è la colpa allora, dei lavoratori?