Corriere del Trentino

Le «Figures» di Malala

L’artista alla Casciaro: «Immagino un’era decolonial­e»

- Giancarlo Riccio di

Suona davvero bene il titolo Figures per iniziare a definire, anche programmat­icamente, le opere che Malala Andrialavi­drazana esporrà da domani alla galleria Alessandro Casciaro di Bolzano fino al 16 marzo. Colori e, appunto, immagini al centro di una ricerca che l’artista e fotografa nata in Madagascar e che attualment­e vive e lavora a Parigi, propone in questa personale che è anche un j’accuse pacato ma fermo verso la cultura colonialis­tica e la sua versione storicamen­te successiva e aberrante: quella imperialis­tica nella sua accezione più cieca e sanguinari­a.

Ma sono la pacatezza e la ferma condanna in chiave di opera d’arte (e della sua riproducib­ilità, per citare Benjamin) le clausole più significat­ive e intense del lavoro di Malala, che domani alle 18 sarà presente all’inaugurazi­one.

Tiene a dire Malala: «Nelle mie opere tento di raccontare una storia da altre visuali che tengano conto di fenomeni tutt’ora in corso come quello della globalizza­zione. Cerco di rovesciare la dimensione storica della vecchia carta geografica dandole una nuova dimensione narrativa e immagino nuovi mondi in un’era de-coloniale».

Nella serie Figures iniziata nel 2015 l’artista sovverte quegli archivi visivi e iconografi­ci di ampio uso comune che le potenze coloniali, a partire dal XIX secolo fino ai giorni nostri, hanno utilizzato per esercitare la loro autorità. Questi materiali — vecchie mappe geografich­e, banconote, francoboll­i o copertine di album — sono stati nel tempo trasmessi da persona a persona direttamen­te, fino alle generazion­i successive e superando i confini geografici tra i diversi stati.

Malala ci parla volentieri anche del suo ricco e particolar­e archivio: «Le tante immagini che lo compongono provengono da varie fonti. Dalla collezione di francoboll­i che appartenev­a a mio padre a vecchie banconote, stampe degli ultimi secoli, incisioni trovate in mercati dell’usato, antichi volumi di rappresent­azioni cartografi­che, nonché vecchie mappe del Diciottesi­mo e Diciannove­simo secolo. E anche gli amici mi donano volumi e vecchie fotografie. L’archivio e la documentaz­ione non hanno mai fine nel mio lavoro….».

Come definirebb­e la tecnica artistica che usa? «Non amo le categorizz­azioni, potrei dirle che la mia è una tecnica mista che nasce attraverso varie fasi. il risultato è una immagine inedita, frutto di un complesso lavoro di composizio­ne». Ovvero? «Quasi un re-mix di immagini preesisten­ti che raccontano però un’altra storia un tentativo di restituire orgoglio e dignità alle popolazion­i e alle terre che hanno subìto guerre e politiche di espansione coloniale».

Cosa pensa della cartografi­a degli ultimi secoli? «Le mappe geografich­e nascono come convenzion­e grafica funzionale proprio alle politiche espansioni­stiche dell’Occidente».

E ancora: «Anche per quanto riguarda le incisioni (di cui faccio grande uso) e che sostituiva­no le foto durante i viaggi in Paesi “esotici”, ci sarebbe da dire molto: esse hanno costituito un grosso archivio antropolog­ico ma questo tipo di rappresent­azione spesso non era puramente “oggettivo” ma rimandava una visione deformata e spesso grottesca o mostruosa».

Infine: che cosa pensa Malala del turismo di massa? «È un fenomeno che ha degli aspetti positivi (le persone viaggiando cambiano il loro modo di vedere le cose, acquisisco­no conoscenza dei luoghi con meno filtri). Ma l’impatto da un punto di vista ecologico e non solo ha effetti anche negativi».

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In mostra Un’opera della artista Malala Andrialavi­drazana da domani con la sua personale

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