Il Muse indaga la rivoluzione del genoma
Dal 23 febbraio il progetto tutto «Made in Muse» Un percorso interattivo con exhibit, video e arte I curatori: volevamo uscire dalle mostre classiche
« Genoma Umano. Quello che ci rende unici» è la mostra tutta «Made in Muse» che verrà inaugurata il prossimo 23 febbraio al Museo di scienze di Trento. Un percorso interattivo tra le nuove sfide offerte dalla genomica, una scienza in continua evoluzione che suscita interrogativi e dubbi, con l’utilizzo di exhibit, video e installazioni. I curatori: volevamo uscire dai recinti convenzionali della museologia classica.
Siamo umani, oltre al dna c’è di più. Non è solo una questione di geni, insomma. Ci sono le molecole, certo, ma la nostra peculiarità è data dalla loro interazione con l’ambiente, gli stili di vita, l’alimentazione, le esperienze emotive. Ecco perché, mutatis mutandis, anche all’ingresso della prossima mostra del Muse, così com’era scolpito sull’architrave del portale del tempio di Apollo a Delfi, potrebbe campeggiare quel gnothi sautón, «conosci te stesso», che ha segnato nel tempo mitologia e filosofia. Perché Genoma umano. Quello che ci rende unici è un vero e proprio viaggio nel mondo che custodiamo dentro di noi e che ci rende ciò che siamo: unici, appunto.
L’esposizione, interamente «made in Muse», sarà inaugurata venerdì 23 febbraio alle 17.30 e si potrà visitare fino al 6 gennaio 2019. Un progetto concepito e realizzato in toto al museo e per il museo, dal contesto scientifico all’approccio espositivo. Ed è proprio questa la scommessa della mostra: «Uscire — come spiega una delle curatrici Patrizia Famà, che insieme a Lucia Martinelli e Paolo Cocco ha ideato e concretizzato l’iniziativa — dai recinti convenzionali della museologia classica». L’allestimento, opera dell’architetto di Firenze Lorenzo Greppi (che ha firmato anche quello della prima mostra temporanea ospitata dal Museo egizio di Torino dopo la riapertura, Il Nilo a Pompei), privilegia modalità di mediazione scientifica immersive, con video e multi-proiezioni di grande impatto scenico, all’insegna della «contaminazione» artistica.
«Non oggetti o reperti da ammirare dunque, ma esperienze da vivere e attivare in prima persona», come spiegaanche no Famà e Martinelli. «Un percorso validato dalla consulenza di un comitato scientifico composto da ricercatori del Cibio (alcuni di loro hanno fatto parte del team protagonista della recente scoperta capace di rendere il genome editing un’arma di precisione pressoché assoluta), dai direttori del centro di ricerca applicata dell’università e azienda ospedaliera di Verona e dell’International centre for genetic engineering and biotechnology di Trieste, da esperti delle università di Trento, Pavia, La Sapienza di Roma e dell’Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia». Per la prima volta, inoltre, come nei maggiori musei del mondo, il Muse si è avvalso della collaborazione di due advisory
board, uno composto da giornalisti scientifici, l’altro da cittadini e insegnanti.
L’intento della mostra è sollecitare il pubblico a riflettere sulla realtà e sui problemi di una scienza in continua evoluzione, dall’impatto sulla vita privata e sociale enorme: quali opportunità o possibili rischi propongono le innovazioni della genetica entrando nel quotidiano? In un tempo in cui ogni informazione è potenzialmente alla portata di tutti, il Muse si fa mediatore di una conoscenza scientifica mirata a rendere il proprio pubblico «emancipato».
Nei 400 metri quadrati del secondo piano della struttura disegnata da Renzo Piano, i curatori hanno immaginato di far vivere al pubblico un’esperienza di visita all’interno di luoghi sociali: un archivio innanzitutto, dove addentrarsi alla scoperta della storia del sequenziamento completo del genoma umano, avvenuta nel 2003: «Non un punto d’arrivo — chiosa Lucia Martinelli — bensì l’inizio di un nuovo cammino». Entrando poi in un’aula scolastica si può capire come funzionino e interagiscano fra loro le singole parti del genoma in maniera interattiva, cambiando lettere e parole in una storia come se si operasse sulle mutazioni del dna.
Si approda poi in una piazza, gremita di silhouette umane che raccontano storie di «persone comuni», che testimoniano come ognuno porti in sé predisposizioni che possono manifestarsi o meno: la propensione ereditaria al tumore al seno ad esempio, ma anche alla velocità: la presenza in Giamaica dei corridori più forti al mondo è una questione genetica?. Ancora, lo studio di una variante di un gene collegato all’iperattività in una tribù nomade del Kenya settentrionale e nei «cugini» divenuti stanziali.
C’è pure il supermercato dei test genetici, come quelli disponibili oggi anche online, al di fuori delle strutture mediche: il visitatore vuole conoscere il proprio albero genealogico? Andare alla ricerca del proprio padre sconosciuto oppure dell’anima gemella? Scoprire un’eventuale predisposizione alle malattie e quali? Può acquistare — virtualmente — i test sul proprio dna e «passare alla cassa»: lì rifletterà sulle controversie delle nuove opportunità della genomica, dal business sulle prove alle loro implicazioni etiche, alla raccolta e accessibilità dei dati. Grazie a «Dna epigen», inoltre, la scultura interattiva di un macro frammento significante di dna realizzata da Claud Hesse, i visitatori possono comprendere quali impronte imprimano sul dna esperienze e stili di vita. Infine un laboratorio, dove sperimentare le tecniche più innovative riguardanti la modificazione dei genomi e delle cellule e un corridoio di uscita per gettare uno sguardo ai media e alle modalità con cui si occupano del tema.
Attorno alla mostra ruoteranno anche eventi collaterali, iniziative per le scuole e il grande pubblico: ad aprile arriverà la biologa e giornalista scientifica Anna Meldolesi; lo staff del museo sta lavorando inoltre per portare a Trento anche Stefano Bartezzaghi e Alessandro Bergonzoni.
Esposizione Non oggetti da vedere, piuttosto esperienze da vivere
Cibio Il percorso è stato validato dai ricercatori scientifici