Antologia sull’Alto Adige
Poter accedere a un buon archivio (e ovviamente saperlo consultare) sono i prodromi di un corretto lavoro storiografico. E in questi tempi dispari a causa degli abusi internettiani, anche per i giornalisti. Gabriele Di Luca, editorialista del Corriere del Trentino e del Corriere dell’Alto Adige e Maurizio Ferrandi, già caporedattore della Rai, curano il primo volume di un’opera destinata a imporsi non solo a livello divulgativo e manda in libreria Pensare l’Alto Adige/ Frammenti del dibattito italiano su una terra di frontiera. Un’ antologia – Volume 1° – 1950-1972, edito da Alphabeta Verlag di Merano. Le pagine selezionate provengono da saggi di tipo prettamente politico e da scritti di carattere storico. Gli autori sono personaggi di estrazione locale e osservatori esterni. Il ventaglio delle opinioni copre — «o così almeno sperano i curatori», fanno gli scongiuri ad Alphabeta — tutto l’arco delle opinioni espresse nell’ambito di un dibattito spesso concitato ed aspro.
Si va da Paolo Alatri e Edo Vallini con «Il problema altoatesino» visto «da sinistra», redatto nel 1961 a «Un onesto cronista», scritto nel 1968 da Romano Bracalini, passando per contributi di qualche decennio fa di Mario Toscano, Umberto Segre, Renato Mazzoni e altri ancora. Con il preziosissimo e ancora slanciato e vitale Viaggio in Italia (ristampato nel 1993) di Guido Piovene. «Bolzano, come tutti sanno, è città di fondo tedesco — narra lo scrittore vicentino scomparso a Londra nel 1974 — si sente in essa, e nei dintorni, la vita di un popolo comodo, sordo, chiuso, cocciuto, sentimentale, pochissimo passionale, orgiastico a ore fisse. Dalla finestra del mio albergo, contemplo le vicende del Catinaccio. Al crepuscolo è avvolto di luci di temporale, anzi di eclissi, da fine del mondo. Vi spunta poi una luna enorme, bianchissima. Ma il monte è estraneo alla città, la città estranea al monte. Le rocce dolomitiche, l’edelweiss, la casa nel bosco, il boccale di birra. Perciò è così difficile condurre la popolazione autoctona dell’Alto Adige ad accettare il costume italiano».
In un’altra sezione del volume si dà conto di analisi anche molti distanti tra loro sulla terra sudtirolese di Lidia Menapace, Andrea Mitolo e Altiero Spinelli. E si riprende il pensiero di Claudio Nolet, rara avis nel contesto culturale locale composto da alcuni suoi allievi appassionati e competenti quanto da una pletora di dilettanti allo sbaraglio riconoscibilissimi ma difficili da neutralizzare. Se non con strumenti come questo libro.