Il profilo del violento? È quello dell’uomo comune
Italiano, con un lavoro stabile, non affetto da dipendenze né da problemi mentali. L’identikit dell’uomo violento stilato in base a quanti hanno aderito al progetto Cambia-Menti avviato in Trentino da 7 club Rotary, Fidapa, Soroptimist, Lions, Famiglia Materna di Rovereto e Alfid «Associazione laica famiglie in difficoltà», con il sostegno della Provincia, contraddice l’immaginario comune.
«Gli uomini violenti non sono mostri, sono persone normali che in certi momenti della loro vita rivelano un lato oscuro — spiega Anna Michelini, Fondazione Famiglia Materna di Rovereto — Se vogliamo produrre un cambiamento non dobbiamo lasciarli da soli, ma dobbiamo accompagnarli verso una nuova cultura, più paritaria e rispettosa». Esattamente ciò che cerca di fare CambiaMenti, programma rieducativo a cui hanno partecipato dal 2012 al 2017 109 uomini trentini.
Negli ultimi tre anni, poi, da quando il servizio è diventato stabile, sono state registrate 227 chiamate di cui 66 da uomini autori di violenza. Si tratta per la maggior parte di italiani (65%), lavoratori dipendenti (67%), diplomati (48%), privi di dipendenze da alcool o droghe (83%), senza problemi psichici (97%) e con figli (92%). Figli che nell’82% dei casi hanno assistito ad azioni violente e per il 6% sono stati loro stessi le vittime. Ma attenzione, il 90% di questi uomini non ha precedenti penali e il 57% non è mai stato denunciato. E questo, nonostante abbia commesso violenza fisica (40%) e nel 37% dei casi conviva ancora con la vittima.
«Le donne non denunciano perché temono ritorsioni. Ma tacere significa una cosa sola: favorire il perdurare del rischio» chiarisce Anna Maria Maggio, dirigente della Divisione Anticrimine della Polizia di Stato, assicurando che a fronte di una denuncia l’85% delle situazioni viene risolta. Certo, il sistema processuale italiano non aiuta. «Il processo penale non è costituito per tutelare la vittima, ma per assicurare la condanna di un colpevole e per dare diritti all’accusato. Nei casi di violenza, si rivela quindi inadeguato» ammette Pasquale Profiti, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trento. E a ciò si aggiungono altri errori comuni come: sottovalutare, negare, trascurare il problema. Il percorso, invece, interviene in profondità, coinvolgendo gli uomini con attività psicoeducative e portandoli a sottoscrivere un «patto» con cui si impegnano a interrompere qualsiasi comportamento violento.
«La violenza sulle donne nasconde una grande fragilità maschile. Non è un caso che circa un terzo degli uomini che commettono femminicidio poi si suicidi. Per questo — conclude Sandra Dorigotti, di Alfid — è importante indagare la loro identità e rigenerarla intervenendo per tempo, fin dalle scuole». In Trentino, infatti, sono già partiti 60 percorsi scolastici per spiegare ai ragazzi che la violenza non è un destino, ma una scelta evitabile.
Michelini Dobbiamo accompagnare verso una cultura più rispettosa