Non solo ecologia Spegnere la luce fa aprire gli occhi
La ricorrenza «M’illumino di meno», utopia del cambiamento Sviluppo sostenibile: una chimera lontana che sa di speranza Luce e suoni come opposti in Seneca, Pascal e Schopenhauer
In questo bailamme di oscurità, di rumore e di confusione che purtroppo caratterizza il nostro presente, ci troviamo davanti a una nuova giornata dedicata al risparmio energetico: è il 23 febbraio, il “M’illumino di meno” day.
Difficile, molto difficile. Siamo in pieno boom di spreco energetico e lo sviluppo sostenibile è una bandiera che sventola lontana. Utopia nel senso di speranza di cambiare? Secondo me sì.
I nostri giovani saranno illuminati dal faro del risparmio energetico? Una chimera lontana, ma non irraggiungibile. Ci sono spiegazioni nei media, ma sotto sotto c’è il richiamo al buon tempo antico, nel quale il «risparmio» era il credo assoluto, oltre a essere un segno di buona educazione.
Responsabilità di massa, responsabilità individuale. La cura? Riprendersi il senso dello spazio attorno a noi, spazio in luce e in oscurità, in rumore e in silenzio. È ora di stare con se stessi, di ripiegarsi e pensare. Certo che stando con se stessi nascono le paure, soprattutto quelle del buio e del silenzio. Cosa è accaduto con gli apparecchi sempre più efficienti? Pensando ai led e alle loro conseguenze, non sarebbe il caso di illuminarci di meno?
Ricordo con grande nostalgia un’estate in montagna, mano nella mano con i miei nipoti, sdraiati sul prato a guardare il buio e a crearsi immagini, fantasmi, sogni, silenzi e vestirli di stelle cadenti.
Chiedersi perché esista il buio, che cosa esso sia e perché al buio non si veda nulla, presume l’esistenza della mancanza di luce o della mancanza del tempo, o di qualcos’altro. Ma in che modo esiste la mancanza di qualcosa? Occorre allora osservare in che modo esiste il buio. Ciò significa allora far «luce» sulla sua esistenza. Provo dunque osservandolo in me.
Non mi pare che il buio sia solo mancanza di luce, come il silenzio non è solo mancanza di suono, né il male è solo mancanza di bene. La luce è un’ordinata entità cosmica. L’uomo può decidere che cosa fare della sua forza o energia vitale: può espandere ulteriore luce o viceversa ulteriore buio, emettere suoni o ascoltare i suoni del silenzio.
Per Platone i contrari sono inseparabili: quando c’è l’uno c’è anche l’altro. Tutte le cose si generano dal loro contrario mediante un duplice e reciproco processo generativo.
A Bolzano per «depotenziare» il monumento al Duce a cavallo, è stata posta una scritta luminosa di Hannah Arendt («Nessuno ha il diritto di ubbidire»): tempi bui del passato e luce di oggi.
Luce di oggi, ma… di meno, risparmiamo la luce.
A me, oltre alla luce e il suo correlato buio, fa più impressione il rumore-silenzio.
A proposito di silenzio due bellissimi scritti: uno di Renzo Caramaschi (Mursia editore, 2018), La memoria dei silenzi, una memoria silenziosa e corposa espressa in una lingua accurata, precisa, armoniosa, musicale, proprio un suono che va nelle profondità del silenzio. Il secondo libro è di Lucio Costantini (Lampi di stampa, 2017), Passaggi nel silenzio.
Lucio Costantini è stato direttore dell’Associazione Culturale Musei di Ronzone per la quale ha curato molti atti di convegni, si occupa di teoria del simbolico con scritti e pubblicazioni.
Questo libro «dice» il silenzio, con metafore, citazioni, testimonianze, esempi. Nelle città «senza notte» ai deserti dell’anima di un mondo che non ha più la capacità di mediare, di leggere, di leggersi, nel buio del dire e del dirsi.
Mettiamo sempre tutto al buio, facciamo silenzio, mettiamo tutto a tacere.
Lasciamo che la splendente, accecante luce, unita al rumore ci ottunda i sensi.
Cosa dobbiamo vedere se accecati da luci, parole, suoni?
Sul tema della distrazione ci sono saggi di Seneca, Lucrezio, Pascal, Schopenhauer.
Solo il buio prelude alla luce. Solo dal silenzio si può veramente udire.
Solo il silenzio ti dà la capacità di ascoltare. Il silenzio è prima e dopo la parola, come scrive Antonio Prete ne Il cielo
nascosto (Bollati Boringhieri, 2016).
Silenzio della musica, silenzio della poesia, silenzio della preghiera, silenzio del cuore.
Alle Sirene, Kafka ascrive la magia del canto inaudibile dal quale venne soggiogato Odisseo.
É il silenzio (e qui ritornano le splendide intuizioni di Caramaschi nel libro sopra citato) il sinonimo di necessario oblio, davanti all’insostenibilità del dolore? Là dove l’anelito estremo è la necessità di sparizione, custoditi dal silenzio.
Lasciamo che il silenzio sia e che non ci stordisca, inebetisca, frastuoni col rumore. Dal buio al silenzio, quindi. Sarà servita questa giornata? Serviranno le elucubrazioni di chi spera di entrare presto nel buio e nel silenzio?
Ricordi «Sul prato, distesi, a vestire i sogni di stelle cadenti»