«Superficiali per necessità» La miopia dell’esistenza
Mazzoni, domani in università la poesia del qui e ora
«Superficie vuol dire molte cose. Significa innanzitutto che la vita delle singole persone è superficiale. Viviamo in uno spazio di senso che nella vita quotidiana raramente affronta le cose ultime, fatto cioè di significati regionali, provvisori, che escludono tutto quello che ci oltrepassa e ci trascende».
Partendo dal significato che Guido Mazzoni - poeta e docente di teoria della letteratura all’Università di Siena - attribuisce alla parola «superficie», conversiamo con lui attorno ai contenuti del suo nuovo libro di poesie, che si intitola, appunto, La pura superficie (Donzelli, 2017). Mazzoni, introdotto da Massimo Rizzante, interverrà domani alle 17 (aula 001) presso il Dipartimento di lettere e filosofia dell’Università di Trento, ospite del Seminario permanente di poesia Semper diretto da Pietro Taravacci e Francesco Zambon.
Ritorniamo al concetto di superficie: non scendere in profondità può rappresentare un’efficace fuga dal peso del mondo.
«Solo in certi istanti epifanici percepiamo le cause profonde che ci muovono, ma normalmente non ci soffermiamo sulle cose ultime e profonde. Lo facciamo perché questa miopia ci è necessaria per esistere qui e ora. Superficiale è anche la nostra conoscenza del mondo, che è basata su apparati di semplificazione come i sensi, il linguaggio, le abitudini. La nostra conoscenza degli altri, poi, presuppone la più importante superficie che incontriamo nell’esperienza quotidiana, quella che separa la vita interna da quella esterna. Viviamo in mezzo ai nostri psichismi, in mezzo a pensieri, passioni e somatizzazioni, mentre gli altri sono quelli che vediamo, ascoltiamo, interpretiamo attraverso i segni che emanano, ma non abbiamo accesso alla loro vita interiore».
Esiste una «luce», un segnale che anche nel presente distingue la poesia dal resto?
«Tolgo ogni privilegio alla poesia, che per me è solo un genere letterario. Tutti i sovrasensi che la parola poesia si porta dietro per stratificazioni millenarie non hanno più significato oggi. La poesia è solo una parte della letteratura. La letteratura invece è una disciplina molto interessante, perché la nostra cultura le affida il compito di dire quelle verità frontali, radicali e asociali che normalmente nella vita sociale rimangono taciute. Il linguaggio dei rapporti sociali è un venirsi incontro, nasce da un negoziato, dalla ricerca di un punto di vista comune che è sempre un minimo comun denominatore».
Attraverso la sua poesia, che immagine dà della vita nel presente?
«Nella pura superficie, chi dice io, o la persona di cui si dice lui o lei, è cangiante, molteplice. A volte sono io, a volte è un’altra persona, non importa. L’idea è che alla fine tutti noi siamo come tutti gli altri, non c’è privilegio nelle vite individuali. I personaggi del libro sono situati in un luogo e tempo preciso, abitano nell’Europa occidentale di questo tempo e cercano un significato nella dimensione privata. Quella pubblica e storica giunge come manifestazione di meccanismi impersonali, come nelle crisi economiche di cui percepiamo gli effetti ma non viviamo come eventi cui possiamo partecipare. Lo stesso vale per i grandi avvenimenti politici, che viviamo per lo più attraverso i media».
Perché sempre più il romanzo, ma anche la poesia, si apre al saggio?
«La poesia, come il romanzo, attraversa una fase di ibridazione e il saggio è una delle direzioni verso cui si espande. Ciò non è casuale, ha a che fare con il diventare astratto delle nostre vite, sempre più inserite in una catena di relazioni vastissime che cominciano qui e ora e si diramano in direzioni molteplici, che non sono presenti qui e ora ma che possiamo conoscere attraverso la riflessione. Proprio per questo una parte della letteratura sente oggi il bisogno di includere il saggio».