«Patto Pd-Svp, solo uno scambio Ci rimette l’autonomia»
«Io, nel 2013, sottoscrissi un accordo politico e culturale. Oggi si tratta di uno scambio». Pierluigi Bersani boccia «da autonomista» il patto che porterà alla probabile elezione di Maria Elena Boschi nel collegio della Bassa Atesina a Bolzano. «Mi dispiace sinceramente. Sono autonomista da quando, all’inizio degli anni ‘80, venivo in Trentino da assessore regionale al lavoro a studiare le vostre politiche del lavoro» aggiunge Bersani, che di Renzi dice: «Pensa basti liberarsi della sinistra per avere i voti di Berlusconi».
TRENTO «La destra quando è all’angolo ti abbraccia, come fa un pugile alle corde, ma appena si riprende ricomincia a darti cazzotti». La metafora è la figura retorica di Pierluigi Bersani. L’ex segretario del Pd non vi rinuncia quando prova a spiegare perché, secondo lui, la strategia di Matteo Renzi è stata perdente: «Ha sempre pensato che gli sarebbe bastato far fuori la sinistra del Pd per prendersi i voti di un Berlusconi prossimo all’addio: non è andata così». Un errore, in questo caso per l’Autonomia, anche l’ultimo patto con il Pd: «Io nel 2013 sottoscrissi un accordo politico, un’alleanza culturale. Questo per la Boschi è solo uno scambio: voi mandate giù il pillolone e la votate, noi vi daremo in cambio qualcosa. È un peccato per l’Autonomia».
Onorevole, se si guardano i sondaggi una cosa colpisce più delle altre: i giovani e le persone a basso reddito, ossia il vostro elettorato storico, non votano più a sinistra. Un problema che investe tanto il Pd che Leu.
«Una lettura che va in parte corretta. Lo dico dopo aver ricominciato ad ascoltare l’Italia dal basso, con le orecchie ben a terra. La disuguaglianza e la precarietà hanno prodotto una grande disaffezione tra i giovani che con fatica, è vero, partecipano ai tradizionali incontri politici. Però, i loro circuiti li hanno lo stesso e poi magari te li trovi in piazza a Milano per difendere i migranti. Si tratta di un voto che può essere recuperato da una sinistra di governo e di uguaglianza».
Stesso discorso per le classi sociali più umili? Ci sono interi territori, in Italia, che non vedono una prospettiva e nelle intenzioni di voto lo dimostrano.
«Il problema dell’Italia è il problema dell’Europa e si chiama disuguaglianza. Abbiamo una società con poche persone sicure e molte che sicure non si sentono affatto. È a questa domanda di sicurezza sociale che noi dobbiamo dare risposta. Una destra regressiva la sua risposta la dà: chiusura culturale, odio per lo straniero, isolazionismo, nazionalismo. La sinistra deve ricominciare a dare la sua: lavoro dignitoso per tutti, universalismo dei diritti, fisco giusto e progressivo».
Dovesse scegliere tre punti del vostro programma che vi caratterizzano come una lista di sinistra, quali indicherebbe?
«Il lavoro: lo si crea con gli investimenti, non con i bonus e gli sgravi. Va disboscata la selva oscura dei mille contratti precari. Sanità: è in atto un costante degrado del sistema sanitario pubblico. La logica del ticket e delle code, unita al blocco del turn over del personale, sta trasformando l’Italia in un paese in cui a curarsi sono i ricchi. Fisco: il contrario della flat tax, l’Irpef deve essere più progressiva, come le imposte patrimoniali, due sole aliquote per l’Iva, vera riduzione dell’evasione fiscale».
La rincorsa della sinistra al centro moderato è cominciata diversi anni fa. Renzi ne è l’ultimo interprete. I numeri oggi dicono che è fallita. È ancora possibile, in Italia, un grande partito di centrosinistra?
«Il centro moderato è una figura retorica. Oggi quella che ieri era la maggioranza silenziosa è arrabbiata nera: il ceto medio si è impoverito. Il renzismo è l’idea secondo cui espellendo il vecchiume di sinistra si sarebbero ereditati i voti lasciati da un ormai anziano Berlusconi. Un disegno che continua, come dimostra l’esclusione dalle liste del Pd di ciò che restava della sinistra e l’arruolamento in Sicilia di gente vicina a Cuffaro, in Lombardia di uomini di Formigoni, in Emilia con la candidatura di Casini. Un disegno demenziale: è come chiudere la valvola a una pentola a pressione».
Che fare allora?
«Ripartire con fiducia, pazienza e determinazione dalle idee di sinistra, per creare una grande area progressista di governo. La sinistra faccia la sinistra. A Renzi ho sempre detto che, alla fine, la sua strategia avrebbe portato a segare il ramo su cui lui stesso era seduto. Quando dici che ha fatto più Marchionne per i lavoratori che decenni di battaglie sindacali stai segando quel ramo. L’unico danno che hai fatto alla destra è che non sa più cosa promettere per superarti: come fanno a rendere un lavoratore più ricattabile di come è oggi? Evasione: io avevo portato il limite per i contanti a mille euro, lo hanno portato a tremila, Berlusconi è costretto a dire cinquemila, Salvini nessun limite. Renzi ha tirato la volata alla destra».
Sommando le intenzioni di voto per Leu e per il Pd si arriva al 30%. Non siete voi ad aver aperto la porta alla destra?
«La somma dà quel 30%, ma gli elettorati non sono sommabili, è questo il problema. Dovrebbero ringraziarci, se avessero la testa sul collo, invece di invocare il voto utile dopo aver voluto a tutti i costi il proporzionale, un sistema in cui il voto utile non esiste dato che le maggioranze si formano in parlamento: è vergognoso».
Oggi il Pd considererebbe grazia ricevuta arrivare a quel 25% che le fu imputato come una sconfitta.
«Lei tocca il tasto per me più doloroso. Allora, in questo primi in Europa, si palesò in Italia un sistema tripolare. Nonostante questo, per cinque anni abbiamo avuto i voti per governare e li abbiamo usati per rompere i rapporti interni al centrosinistra e allontanare il nostro elettorato. Per la cronaca: sono già tre voti amministrativi che il Pd va sotto la “soglia Bersani”. Continuare a dire che la rottura è stata solo tra gruppi dirigenti, negare la realtà, segna un’involuzione egoistica del Pd».
Lei, nel 2013, sottoscrisse un accordo politico con la Svp. Oggi non ve n’è traccia.
«E mi dispiace sinceramente. Io sono autonomista da quando, all’inizio degli anni ‘80, venivo in Trentino da assessore regionale al lavoro a studiare le vostre politiche del lavoro. Me ne tornavo a casa forse un po’ invidioso, ma non arrabbiato, perché per me l’Autonomia è questo: sperimentare soluzioni innovative che poi tutti possano usare. Questo è quanto avete fatto in Trentino Alto Adige. L’accordo del 2013 era politico e culturale, quello di oggi è un semplice scambio: voi mandate giù il pillolone votando Boschi e noi vi daremo qualcosa in cambio».
La stessa Boschi che, nel 2014 alla Leopolda, disse che purtroppo non c’erano i numeri in parlamento per cancellare l’Autonomia.
«Fosse stata solo lei. È quello che hanno sempre pensato e sempre detto. Per questo dico che mi dispiace per l’Autonomia, che avrebbe bisogno di un livello di interlocuzione più alto dello scambio».
Bolzano ingoierà il pillolone Boschi e avrete una contropartita Il problema dell’Italia è quello dell’Europa e si chiama disuguaglianza Il nodo Renzi si è illuso che espellendo noi avrebbe ereditato i voti di Berlusconi: demenziale La sinistra faccia la sinistra Lavoro e universalismo dei diritti Il «mio» 25% fu usato per allontanare il nostro elettorato È un dolore