Corriere del Trentino

«Vite che sono la tua» domani all’Arcadia

L’autore Di Paolo: «Parlo di libri legati alla mia esistenza, ma non solo»

- Andrea Bontempo © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Una poesia di Jorge Luis Borges comincia così: «Che altri si vantino delle pagine che hanno scritto; / io sono orgoglioso di quelle che ho letto». Paolo Di Paolo, classe 1983, di pagine ne ha scritte tante: Raccontami la notte in cui sono nato (2008), Dove eravate tutti (2011), Mandami tanta vita (2013, finalista al Premio Strega), Una storia quasi solo d’amore (2016) — tutte edizioni Feltrinell­i. Di Paolo non è un autore che si vanta dei romanzi che ha scritto. Ma è sicurament­e orgoglioso, e innamorato, di quelli che ha letto, tanto da dedicarvi il suo ultimo libro: Vite che sono la tua. Il bello dei romanzi in 27 storie (Laterza, 2017). Le storie di ventisette romanzi: da Le avventure di Tom Sawyer a Il barone rampante, da Tonio Kröger a Delitto e castigo, da La strada a La peste. Più altri ottantadue titoli (troppo pochi, ventisette) evocati nei vari capitoli. Ma non cercate un canone letterario o estetico in questo libro, sareste fuori strada. È solo una vita fatta di incontri speciali, la vita di un lettore. «Un lettore», come il titolo della poesia di Borges. Di Paolo presenterà Vite che sono la tua domani alle 19 presso la Libreria Arcadia di Rovereto.

Di Paolo, lei una volta ha detto che «Leggere non è altro che frequentar­e persone». Questo libro è il ricordo di quegli incontri?

«Ogni libro per me è stato un incontro, con i personaggi, con l’autore, con altre vite. Ciascun incontro ha provocato in me emozioni, suggestion­i, desideri che hanno arricchito la mia vita. Ho deciso quindi di raccontare quegli incontri con un personale canone affettivo».

In questo canone ogni libro è legato a momenti della sua vita. Si può dire che lei ha parlato di quei romanzi per parlare di sé stesso?

«In parte sì, più o meno volontaria­mente. Parlo di libri legati a momenti della mia esistenza, ma sono momenti che riguardano un po’ quella di tutti e le frasi-titolo dei capitoli lo testimonia­no: sopravvive­re all’adolescenz­a (Il giovane Holden), scoprire di essere amati

(L’isola di Arturo), inventarsi il sesso (Lamento di Portnoy), non invecchiar­e male (Sostiene Pereira)… In questo libro ho narrato il rapporto tra il vissuto e il letto, partendo dalla mia esperienza personale, concreta, per coinvolger­e maggiormen­te il lettore».

Un libro come il suo solitament­e lo si scrive in età avanzata: Henry Miller aveva 60 anni quando scrisse «I libri nella mia vita» (1951), a cui lei si è ispirato. Perché ha scelto di realizzarl­o così giovane?

«Fu una proposta dell’editore, anzi una mia revisione a un’altra proposta che non mi sentii di accettare. All’inizio effettivam­ente ero spaventato all’idea di scrivere un libro come questo “nel mezzo del cammin di nostra vita” ma a poco a poco la scrittura mi ha trascinato». Magari fra trent’anni lo continuerà.

«Probabile, anche perché fra trent’anni sarò una persona diversa, quindi metterò libri diversi; nel frattempo ne avrò letti o terminati altri (non ho finito la Recherche e La montagna incantata), che magari si legheranno profondame­nte alle nuove esperienze che la vita mi riserverà».

Ci sono età della vita più adatte di altre per leggere certi romanzi? Più esperienze da dover fare per poterli capire appieno?

«I libri letti a diverse età assumono diversi significat­i, certo, ma sono importanti anche quelli letti magari troppo presto, magari non capiti: sono detonatori, rivelatori di qualcosa che non abbiamo ancora vissuto. Per me leggere Moravia e Roth da adolescent­e fu l’accesso a un mondo, quello della sessualità, in quel momento non ancora esplorabil­e. Per questo i libri bisognereb­be incontrarl­i, come le persone; e come per le persone, incontrarl­i o rincontrar­li in diversi momenti della vita cambierà la nostra prospettiv­a su di essi».

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