Anita Pichler, una donna per tutte
Il ricordo Memorie «che spettinano l’anima» della scrittrice altoatesina Sabato l’incontro voluto da Tanna per un 8 marzo di testi, film e poesie
Approfitto della manifestazione di Tanna, che propone, da donne a donne, un incontro di poesie, testi e film per rinnovare il ricordo, la memoria di Anita Pichler che quest’anno, il 28 gennaio per la precisione, avrebbe compiuto 70 anni. La manifestazione si svolgerà presso l’Archivio delle donne, Biblioteca della Donne, alle 10 di sabato 10 marzo. Saranno presentati testi di Anita Pichler che ruotano attorno a figure di donne, scelti fra le opere Le Donne dei Fanis e Beider Augen Blick ...Nove variazioni sul processo visivo. (Innsbruck: Haymon-Verlag), prima traduzione di Donatella Trevisan.
Ma chi è Anita Pichler? Uso il presente, volutamente.
«Anita Pichler è nata nel 1948 a Merano ed è morta nel 1997 a Bolzano. È stata la prima scrittrice sudtirolese di lingua tedesca del dopoguerra ad affermarsi ben oltre i confini di questa terra. L’opera di Anita Pichler fa parte integrante della letteratura contemporanea tedesca per la sua capacità straordinaria di esprimere emozioni e sentimenti attraverso suoi personaggi, per lo più femminili, e di coniugare la vita quotidiana con la grande tradizione storica e mitologica della regione alpina». Così viene descritta.
Mi piace, in questo pezzo di memorie tratte da un articolo di Gabriele Di Luca, una frase di Anita presa dal libro Come i mesi l’anno (Edizioni Alphabeta Verlag, Merano), uscito per la prima volta in italiano da Marsilio nel 1991: «Andrò in paradiso. Arriverò in paradiso, me l’ha detto la giornalaia. Le ho dato una manciata di monete per il giornale».
Se penso ad Anita mi vengono alla mente dei pezzetti di mondo comune fra noi: il mondo delle donne, le donne dei Fanis, argomento sul quale tanto abbiamo discusso e lavorato.
Un luogo, la nostra terra, una gente, forse le nostre antenate. Luoghi, ancora citando Anita Pichler: «Dove sono finiti i luoghi? Wo bleiben die Orte der Kindheit, der Jugend, die Orte der Geschichten…». E io ho pensato: dove sono finiti i luoghi quando il racconto finisce? C’è un luogo della vita, un luogo della morte? Ci ritroveremo in un qualche luogo? E sarà uno dei luoghi che abbiamo partecipato? C’è ancora un luogo dove la parola sembra spegnersi per lasciare spazio ai silenzi del cuore, un luogo dove il dialogo diventa comprensione? Sarà sull’alpe di Fanes con le donne dei Fanis, le tue e le mie donne. Le nostre affinità letterarie si sono intrecciate in questi luoghi e rievocano per entrambe creature delle acque: Aguane, Vivene, Mianines, ninfe, sirene. Spesso mi accade di parodiare o di continuare un colloquio fatto con te. Un tempo, tanto tempo fa.
So che la tua memoria mi spettina l’anima. Quell’ultimo tempo di più. La tua casa, la terrazza, tende chiuse, dietro le montagne. Gente che va e che viene nel rituale del distacco. Il tuo gatto sempre accanto a te, sul letto. E poi speranze, speranze? La morte. Un compagno, Der Tod, o una compagna, La Morte? E il viaggio nel tempo è la sua altra faccia, La Vita, neutra in tedesco (Das Leben)? Credo che dare un genere alle sensazioni sia importante. È questa sensazione di confine, tra la vita e la morte, tra una lingua e l’altra, che mi intriga.
Luoghi, un confine che si traccia fra occhio e orecchio e quindi è bello dar voce e visibilità a donne che per le donne si impegnano come appunto «le donne tenaci di Tanna» che stimo e ammiro.
Rimangono sprazzi, piccole banali visioni, come sempre condite da riferimenti a un sé che davanti al tuo ricordo non tiene.
Un pranzo al Cavallino Bianco, una tazza di te a casa mia. Venezia, la tua casa. Poi il lungo periodo, lungo e breve, della tua malattia, a casa tua, a Bolzano, con tanti che facevano barriera
contro la morte che stava dietro l’angolo. La presentazione, a Vienna, del libro Es wird nie mehr Vogelbeersommer sein... in Memoria (Folio Verlag 1998), in tua memoria, in assenzapresenza, quindi, ma in presenza di tutti, forse solo tanti, di coloro che ti hanno avuta come amica. Nomi, pensieri, memorie, foto, sensazioni, l’inter-detto dalle parole.
Invece di parlare di te mi piace ricordarti nel silenzio, o ripetere l’antico canto di lutto dei Fanes «oh mei moi, per me né ape né miele» e, in silenzio, produrre parole assenti per far risuonare la tua presenza.