«Realismo magico» Felice Casorati e la musa inquieta
La mostra Realismo Magico conferma il ruolo guida del maestro I ricordi di Lalla Romano e Natalia Ginzburg sul pittore novarese
«L a scuola di Casorati era davvero in quell’appartamento dove avevo visto con A. la mostra del pittore, in via Bernardino Galliari. Gli allievi erano sparsi, coi loro cavalletti, nelle varie stanze imbiancate a calce, vuote: qualche sedia impagliata, qualche busto di gesso, in terra. In uno stanzino erano appesi i grembiuli di tela grigia. C’era un custode che era anche corniciaio: alto, vecchio e magro, dall’aria incantata, che mi fece pensare a un personaggio di Dickens. E la segretaria, un po’ anche maestra, Nella».
Nessuno ha raccontato il clima culturale della Torino degli anni Venti meglio di quanto abbiano fatto nei loro indimenticabili libri Lalla Romano — autrice del passo citato, tratto da Una giovinezza
inventata — e Natalia Ginzburg. Durante la loro gioventù le due scrittrici furono testimoni oculari, anche se dichiaratamente inconsapevoli, di tanti avvenimenti rivelatisi poi cruciali per i futuri sviluppi della cultura italiana. Tra questi, gli episodi legati alle arti figurative occupano un posto privilegiato nei loro ricordi e rappresentano dei punti fermi nella formazione intellettuale di entrambe.
Nel suo Lessico famigliare, Natalia Ginzburg racconta che Casorati faceva parte delle frequentazioni abituali della sua famiglia. All’epoca il pittore novarese si era definitivamente stabilito a Torino ed era già stato consacrato dalla critica: ma era poco stimato dal padre di Natalia, il professore di anatomia umana Giuseppe Levi; il quale, davanti alle riproduzioni dei suoi dipinti, esclamava in dialetto triestino: «Sgarabazzi! Sbrodeghezzi!», con grande disappunto della figlia Paola, che «avrebbe voluto avere poca salute, un aspetto fragile, e il viso d’un pallore lunare, come hanno le donne nei quadri di Casorati». La mostra Un’eterna bellezza, allestita al Mart lo scorso anno, aveva riservato ampio spazio a questo microcosmo torinese, con una significativa selezione di opere del maestro — tra cui l’aristocratico ritratto del giovane Renato Gualino, che campeggiava sui manifesti, e il magnifico Concerto del 1924 — e con la piacevole sorpresa di tre dipinti di Nella Marchesini (19011953), la «vestale» dell’atelier di Casorati, pittrice raramente visibile e solo recentemente rivalutata grazie agli studi di Giorgina Bertolino.
La mostra sul realismo magico, in corso fino al 2 aprile presso lo stesso museo, vede nuovamente protagonista la musa inquieta di Casorati. Anche questa volta è sua l’immagine del manifesto, capace di evocare un’intera stagione dell’arte italiana: si tratta della grande tavola Gli scolari, in trasferta dalla Galleria d’Arte Moderna di Palermo, che fu esposta alla Biennale del 1928 suscitando l’irritazione di Ugo Ojetti per via della sua malcelata ironia, giudicata irrispettosa delle direttive mussoliniane sull’arte «portata a contatto delle moltitudini». Noi osserviamo con simpatia quei ragazzini attoniti, prigionieri della geometria che sono chiamati a imparare. Le loro figure sono riprese dal disturbante punto di vista rialzato caro al maestro piemontese, secondo una prospettiva troppo ravvicinata per apparire naturale ed emotivamente neutrale: eloquente, a tale proposito, il ritratto della ballerina Cynthia Maugham, nipote del famoso scrittore britannico Somerset Maugham e futura cognata del pittore.
Se si escludono i «precursori» Carrà e de Chirico, sul piano della maestria e del rigore stilistico l’unico a tener testa a Casorati è Ubaldo Oppi, rappresentato a Rovereto dal suo emblematico quadro
Le due amiche, del 1924, e dal raggelante ritratto della moglie sullo sfondo di San Giorgio Maggiore a Venezia. Di contro, la massiccia presenza di opere di Cagnaccio di San Pietro non giova a legittimarne l’equiparazione ai citati maestri e può semmai valere quale dato statistico sul gusto medio della borghesia italiana negli anni del regime. I dipinti di Sciltian e di Sofianopulo esposti nell’ultima sala denunciano poi l’angustia di un realismo che, avvitandosi su se stesso, perde proprio quella «magia» teorizzata da Massimo Bontempelli (e interpretata al meglio dall’omonima tela del triestino Carlo Sbisà). La somma delle due esposizioni conduce a una conclusione critica univoca, assegnando a Casorati il primato sui pittori italiani del cosiddetto «ritorno all’ordine»: un primato che fu anzitutto morale, tenuto conto del suo dichiarato antifascismo, ma anche culturale, in ragione del suo impegno didattico e della solidità della sua estetica, condensata nel motto «numerus, mensura, pondus». Ad attestarlo basterebbero le parole di una delle sue migliori allieve, Lalla Romano, che di lui ricordava le sottigliezze teoretiche, l’estrema eleganza, i giudizi spiazzanti, i paradossi. E un ammonimento: «L’arte è una malattia, sa. Bisogna sostenerla con la febbre».
Vestale Esposta a Rovereto fino al 2 aprile la musa inquieta dell’artista