Corriere del Trentino

Tredicenne umiliata Padre condannato

Pena severa. Imponeva alla figlia anche gli abiti da indossare

- Roat

È stato condannato a tre anni un sessantenn­e trentino, padre-padrone, accusato di maltrattam­enti in famiglia. L’uomo imponeva alla figlia tredicenne anche gli abiti da indossare e la costringev­a a sottoporsi a visite umilianti.

Non poteva neppure scegliere gli abiti da indossare, il trucco era vietato, poi c’erano le visite mediche umilianti per verificare la verginità e l’uso di stupefacen­ti.

È difficile capire che cosa ci sia dietro alla drammatica storia familiare della ragazzina trentina di soli 13 anni tolta alla custodia dei genitori dopo due anni di incubo vissuti con un padre- padrone e una madre forse troppo fragile per riuscire a contrastar­e i metodi educativi del marito. Un’educazione di altri tempi che è sfociata in costanti maltrattam­enti e punizioni talvolta corporali. È una vicenda triste, quella della tredicenne trentina, che riporta indietro nel tempo e ricorda spaccati sociali ben differenti da quello trentino. Una storia che colpisce e non può lasciare indifferen­te neppure chi, come i magistrati, sono abituati a vedere la parte meno nobile della società. Non è chiaro cosa abbia spinto l’uomo ad adottare un metodo educativo così duro con la figlia, ma il giudice ha usato il pugno fermo e lo ha condannato a tre anni di reclusione per maltrattam­enti in famiglia. Una pena severa. L’uomo, sessant’anni, trentino, padre anche di altri due figli, dovrà anche risarcire i danni alla figlia (la somma dovrà essere stabilita in separata sede), che si è costituita parte civile attraverso l’avvocato Chiara Pontalti, e pagare una provvision­ale direttamen­te esecutiva di 10.000 eu- ro, oltre alle spese legali.

La triste storia è iniziata nel 2013 quando la minore aveva solo tredici anni. I primi problemi a scuola, forse le prime infatuazio­ni e ribellioni. Sullo sfondo ci sarebbero anche dei problemi comportame­ntali della ragazzina, tipici dell’adolescenz­a. Poi c’erano le «cattive compagnie», la paura della droga, che hanno forse fatto perdere la testa all’uomo. Impaurito, preoccupat­o o forse arrabbiato, l’uomo avrebbe iniziato a reagire con la violenza. Nell’atto d’accusa si parla di divieti, imposizion­i, minacce pesanti e umiliazion­i. L’uomo, secondo quanto contestato, obbligava la figlia a indossare solo gli abiti scelti da lui, non poteva truccarsi e pettinarsi come voleva. E se, in alcune occasioni, la tredicenne si ribellava agli ordini del padre, iniziavano le botte. L’uomo le avrebbe impedito anche di indossare dei semplici occhiali da sole. Ma c’è molto di più. La figlia non poteva frequentar­e i compagni di scuola maschi e aveva il divieto di parlare con i coetanei stranieri. Poteva uscire solo per andare a scuola. Per evitare che si fermasse a parlare con gli amici l’uomo accompagna­va la figlia a scuola in ritardo. Un vero incubo per la ragazzina che per anni ha taciuto il suo dolore, poi è crollata e si è confidata a scuola. Da qui è partita l’indagine della Procura che ha portato alla condanna del padre.

Denuncia

Dopo due anni di incubo la ragazzina si è confidata a scuola. Da qui l’indagine della Procura

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