QUEL QUADRO DI POZZATI E IL VITELLO D’ORO
Oggi verrà presentato a Castelfondo un nuovo dipinto del pittore trentino Danilo Pozzati: ha per tema il vitello d’oro.
Oggi pomeriggio verrà presentato a Castelfondo un nuovo dipinto del pittore trentino Danilo Pozzati. L’artista è esponente di una nota famiglia nonesa. I suoi antenati hanno militato tra i volontari di Andreas Hofer contro Napoleone, mentre suo nonno ha partecipato nelle fila dell’esercito tedesco alla campagna di Russia. Dopo altri temi biblici — tra cui quello della Torre di Babele — il raffinato autore stavolta ha voluto cimentarsi con il tema del vitello d’oro. La storia è nota: Mosè scende dal monte Sinai con le tavole della Legge e trova che il popolo si è costruito un vitello aureo (simbolo del dio cananeo Baal) e lo sta adorando. Il quadro che il nostro ha dedicato alla vicenda descrive molto bene alcuni aspetti della questione. Ne evidenzio tre. Da una parte si vede la delusione di chi lamenta l’abbandono della via della vita e della disciplina per seguire superstizioni che non possono dare salvezza né sicurezza. Poi si nota anche che quanti si dedicano al culto del bovino divino non hanno espressioni di felicità, come avrebbe chi avesse trovato qualcosa di davvero bello. Al margine del dipinto, infine, è raffigurata una fontana classica che però non dona più acqua: si è seccata, a significare che ora al popolo mancherà qualcosa di essenziale.
Ebbene scrivo del dipinto di Pozzati perché la storia biblica non è solo un ricordo di tempi passati ma anche un racconto dei giorni nostri. Non abbiamo infatti in larga misura abbandonato la via della «buona legge», dell’educazione, del rispetto reciproco? Lo vediamo nei comportamenti in famiglia o per strada, sul luogo di lavoro o nella scuola. La sincerità si è fatta rara e così anche il desiderio di adempiere al proprio dovere fino in fondo. Molti hanno abbandonato la fede e la religione, rivendicando libertà ed autonomia. Così facendo hanno però spesso ridotto la persona a individuo che non sa più interagire con gli altri, che pensa solo al proprio benessere e non alle sane dinamiche sociali. «Quando se ne vanno gli dei, arrivano i semidei», sosteneva Clive Staples Lewis, l’autore — tra l’altro — delle «Cronache di Narnia». Con ciò si intende, che, quando abbandona il rapporto con il Dio vivo e vero, l’uomo si trova a vivere altre forme di fede (o di superstizione) che anziché la presunta liberazione gli procurano nuove forme di dipendenza. Non è forse vero che, cercando un benessere illusorio, spesso l’uomo d’oggi si affida a falsi salvatori come l’alcol (un idolo antico come il mondo), le droghe, il gioco, la dipendenza da video e realtà virtuali? Quante volte ci lasciamo illudere da chi ci offre vitelli d’oro miracolosi, ma nel frattempo ci deruba del nostro oro per poterli costruire? E come oro qui non intendo soltanto il denaro e ciò che ha un valore venale ma soprattutto il nostro tempo, i nostri rapporti interpersonali, la nostra libertà di crescere e di continuare ad impegnarci in un camino di maturazione, senza affidare a dei simulacri fasulli la riuscita della nostra vita personale e sociale.
Il vitello d’oro è un grande trasformista e si presenta sotto tante fogge insperate. Può essere il Suv che desidero pur non avendone reale bisogno. Oppure la volontà di avere successo a tutti i costi. O anche la brama di restare giovani e belli per sempre. O anche la bramosia di essere i primi e di aver sempre ragione sugli altri. Abbiamo bisogno di liberarci dai vitelli d’oro che tanto promettono e nulla mantengono. E per ottenere tale risultato ci vuole un supplemento di fede nel Dio vero e un supplemento di logica per scartare e rifiutare ciò che non è giusto, vero, buono e rispettoso della dignità dell’uomo.