BORDON ESERCITI IL SUO RUOLO CON PIÙ FORZA
La riorganizzazione della sanità è ferma al palo. Il direttore Bordon deve far valere con più forza il suo ruolo di tecnico sulla politica.
Più volte, in numerose interviste, il direttore generale dell’Azienda sanitaria ci ha rassicurato sullo stato della sanità trentina: tutto bene, truppa demotivata ma supereremo questo momento, ciò che non funziona è fisiologico.
In verità, essendo ormai trascorsi due anni dall’arrivo di Paolo Bordon, la lettura della situazione potrebbe anche essere che dopo questo lasso di tempo e molteplici dichiarazioni di intenti non si è ancora usciti dall’impasse iniziale; una situazione dovuta in parte all’inattesa partenza di Luciano Flor, il direttore generale precedente, e molto all’improvvida politica sanitaria di rimettere mano al modello aziendale tout court, senza peraltro indicare negli ambiziosi programmi motivo e obiettivo della riorganizzazione.
Di regola i direttori generali provenienti da fuori, in prima battuta, rimangono sorpresi dalle molteplici risorse a disposizione del Trentino. Poi, però, o subentrano competenza professionale e forza dissuasiva tali da potersi confrontare con l’assessorato alla salute cercando almeno una ragionevole mediazione tra visione tecnica e finalità di stretta marca politica, oppure si resta schiavi di traguardi limitati, spesso costosi, alle volte irrealizzabili (vedi il punto nascite di Cavalese, assai poco strategico, impegnato nella vana ricerca di personale della cui competenza peraltro è legittimo dubitare).
L’Azienda si è trovata a gestire una riorganizzazione aziendale farraginosa, poco compresa e ad oggi non ancora realizzata per la complessità del sistema nel suo complesso e per intrinseche difficoltà operative e di competenze. Riguardo al riordino in stallo — fatto precedere da dichiarazioni politiche inerenti a risparmi mai avvenuti né prevedibili in futuro — da tempo il Trentino è privo di un programma d’insieme nel campo della salute. Manca in sostanza una reale strategia di medio-lungo periodo preferendo adottare invece azioni a spot di modesto e spesso contrastante indirizzo. Ciò comporta dilapidare tempo e risorse nella revisione del modello organizzativo.
Vediamo allora alcuni esempi a supporto della tesi esposta. Tralasciamo il nuovo ospedale, della cui debacle la responsabilità è in capo alla Provincia in maniera tanto smaccata da fare dubitare che il nuovo nosocomio lo si volesse veramente. Il modesto obiettivo di riaprire ostetricia di Cavalese è al momento fallito, come era fin troppo prevedibile, pur a fronte di assunzioni di personale in carico ma inattivo per l’assente operatività del reparto stesso: nella realtà costi fissi fino al pensionamento. Quale futura mamma si recherà poi a Cavalese è un quesito pieno di incertezze. Chiusura di ostetricia di Arco: il ministero ha così deciso in quanto senza requisiti e poi perché a 15 chilometri c’è Rovereto: un intervento strutturale inevitabile.
La ristrutturazione delle cure primarie e il loro potenziamento restano una mancata realizzazione, pur essendo ormai citati in numerosi provvedimenti e accordi. Le associazioni di medici non sono decollate e anche l’esperienza di Pinzolo offre un abbozzo di quello che dovrebbe essere un centro di riferimento territoriale per i cittadini. Il ricorso a un «piano a due velocità» prospettato dall’assessore è risibile se confrontato con la ricchezza di modelli di assistenza territoriali realizzati ormai da anni nelle regioni a statuto ordinario. Le posizioni sindacali contrarie al cambiamento — leitmotiv per giustificare il ristagno delle scelte per la medicina del territorio — non diventino alibi per l’incapacità a portare avanti con energia una riforma che porterebbe, quella sì, vantaggi ai cittadini. Ed eccoci a Protonterapia: il centro è aperto ma non riusciremo a mettere a posto i conti. Resterà probabilmente una perla più onerosa che utile in termini di costi-benefici per il Trentino. Ma tant’è.
Strategico invece nella programmazione sanitaria è affrontare il discorso legato a uno scenario proiettato nel tempo: ad esempio la visione su quello che sarà l’ospedale tra dieci anni, il collegamento tra un simile scenario e le scelte di edilizia, l’inevitabile riorganizzazione della rete ospedaliera provinciale.
Al di là dei tempi di costruzione di un ospedale in Trentino, la prospettiva su cui ragionare deve essere proiettata giocoforza verso il futuro. Un ultimo rilievo: al dottor Flor era stato chiesto di attivare un «piano di miglioramento» basato sul concetto di fare di più con meno. Le prospettive appaiono cambiate se risulta che vi sia stato un aumento di circa cento unità di personale nell’ultimo anno con una previsione di ulteriori duecento assunzioni.
Una considerazione finale per l’assessore alla salute: ogni spreco di risorse collegato a un sistema di servizi inefficiente si ripercuote sui cittadini in termini di risorse sottratte alle nuove esigenze: tecnologia, nuovi farmaci, invecchiamento della popolazione. È un peccato non veniale non agire sugli aspetti dispersivi e onerosi dell’organizzazione esistente. Dobbiamo erogare servizi nella maniera più razionale ed efficiente possibile in modo da recuperare finanziamenti per le nuove incombenze che stanno aumentando. Se viceversa dovessero esserci risorse per tutte le istanze, bene, ne prendiamo atto.
Al direttore generale Bordon mi permetto invece di suggerire di gestire in maniera accettabile l’esistente, esercitando con forza il ruolo tecnico che gli compete nei confronti della politica e sfruttando le competenze del suo staff. Può sempre contare sul senso del dovere del personale e dei trentini in generale, ma al comandante si chiede qualcosa di più.
* Già direttore sanitario dell’Azienda