Occupazione, Rossi euforico «Crisi finita»
La sindaca di Predazzo dispiaciuta. Azzolini: Maria Fida ha ragione
TRENTO A quarant’anni dalla morte di Aldo Moro la figlia Maria Fida lascia con dolore il Trentino, dove viveva dal 2010, abbandonando una terra, dice, diventata «ricca e insignificante» e che alla memoria del padre non ha dedicato nemmeno un luogo (Corriere del
Trentino di ieri). Una riflessione amara, ma che Luciano Azzolini, alense, deputato della Dc per tre legislature e di Moro anche studente, condivide: «Un rapido arricchimento non accompagnato da un processo culturale adeguato ha portato alla situazione descritta da Maria Fida» ammette. Amareggiata, invece, Maria Bosin, sindaca di Predazzo, dove la primogenita di Moro risiedeva: «Nel nostro piccolo abbiamo fatto quanto abbiamo potuto — evidenzia — Dispiace non sia sembrato sufficiente».
Il riferimento è ai quattro giorni di eventi che il Comune fiemmese aveva dedicato, fra il 6 e l’11 agosto 2016, nel centenario della sua nascita, al presidente della Dc: una messa celebrata dall’arcivescovo emerito Luigi Bressan, una mostra fotografica, la presentazione di un libro, delle escursioni, una tavola rotonda e una lectio magistralis di Paolo Pombeni. Ma soprattutto «l’intitolazione della sala conferenze di Bellamonte ad Aldo Moro — ricorda Bosin — per questo mi dispiace sentire le parole di Maria Fida, per lei e per la figura del padre la comunità di Predazzo ha sempre nutrito il massimo rispetto». Al Corriere del Trentino, proprio pochi giorni prima di quell’evento, Maria Fida Moro confidava di aver chiesto al Comune di intitolare al padre una via, «probabilmente uno skatepark per giovani». Un’istanza, ricorda Bosin, che era stata presentata «proprio a ridosso dell’intitolazione della sala: come giunta avevamo deciso che non fosse il caso di farne un’altra. Lo skatepark, inoltre, ci sembrava poco opportuno». Sulla dedica di una via, a ogni modo, «si potrebbe ragionare in futuro».
«Che il Trentino si sia arricchito e sia diventato meno sensibile è vero — ammette Azzolini — la comunità che Moro aveva conosciuto negli anni Sessanta e Settanta non c’è più». Allo stesso modo con Moro è morta anche una fase politica per il Paese, che ha fatto sì che la sua eredità non sia stata raccolta. Anche in Trentino, dove Moro, come nel resto del Paese, «è stato dimenticato per molto tempo: si parla di lui solo in occasione degli anniversari» sostiene Azzolini. Rimane, tuttavia, un’«eredità larga»: «La sua volontà d’inclusione rispetto ai processi innovativi che avevano iniziato ad avvenire nel Paese dal ’68 in poi — evidenzia — la sua capacità di mediazione che si fa carico del punto di vista degli altri, cerca di farlo proprio e condividerlo».