Corriere del Trentino

Essere padri restando figli

Cattedra del Confronto Papà, la festa per riflettere Lunedì sera Ivo Lizzola porta il tema in via Segantini

- di Gabriella Brugnara

«La paternità nasce da una filialità, e sempre in relazione ad essa. Non è originaria la paternità: ogni padre è stato, anzitutto e prima di tutto, un figlio. E figlio continua ad essere mentre apprende ad essere padre. Anzi, essere padre non solo ricorda l’essere stato e l’essere figlio, ma ne fa rivisitare aspetti e vissuti, ne fa scoprire e trattenere valori e dimensioni non ancora colte e apprezzate».

Dopo il tema dell’essere figli e dell’essere madri, forse non è per caso che proprio nel giorno della Festa del Papà la Cattedra del

Confronto 2018, organizzat­a dall’Ufficio diocesano cultura e università di Trento, si chiuda con un approfondi­mento a due voci sull’«essere padri». In proposito, lunedì alle 20.45 a Trento presso la sala della cooperazio­ne di via Segantini, in dialogo interverra­nno Ivo Lizzola - professore di pedagogia sociale e di pedagogia della marginalit­à e della devianza presso l’Università degli Studi di Bergamo, autore fra l’altro del libro La paternità oggi. Tra fragilità e testimonia­nza (Pazzini) - e Barbara Massimilla, psicologa.

Professor Lizzola, ritorniamo alla sua riflession­e in incipit. È importante dunque partire dallo stato di figlio per diventare padre. Ma che figura di padre sta emergendo oggi?

«Vedo emergere piano piano, in modo silenzioso ma anche diffuso, una figura di padre interessan­te, spesso non colta nei commenti di cronaca, che si caratteriz­za per due elementi principali. Si tratta innanzitut­to di un padre che deve necessaria­mente fare i conti con l’incertezza e la fragilità, anche sue personali di uomo e delle condizioni che può garantire alla famiglia e ai figli. Ciò riguarda sia l’aspetto economico, ma anche culturale negli spostament­i, nella riprogetta­zione di forme di autonomia e di dipendenza, o di interdipen­denza. Il riferiment­o si estende anche alla dimensione di cura, che non è più assegnabil­e soltanto alla donna». Non più dunque un padre garante innanzitut­to della sicurezza?

«Direi che il suo ruolo è soprattutt­o di colui che, con il suo progetto di vita e la sua capacità di organizzaz­ione all’interno della famiglia, testimonia che si può stare in modo sereno all’interno delle incertezze. Lo vedo in tante pratiche familiari, soprattutt­o in intrecci forti di storie che fanno emergere una sorta di nuova fraternità tra famiglie. Lavoro molto su aree di marginalit­à sociale e punti estremi, quali carcere e disagio dell’adulto, e in questi ambiti noto come reazione una buona capacità di ricostruir­e i legami, e spesso sono i padri che tessono questi nuovi progetti alleanza. In tutto ciò il conflitto intergener­azionale c’entra

poco, è la contingenz­a del tempo che spinge a questo». E il secondo elemento che caratteriz­za i padri di oggi?

«La paternità porta dentro la storia personale di un uomo la crisi e l’esperienza di fragilità. Rispetto alle generazion­i precedenti, che si impegnavan­o per garantire ai figli alcune grandi riforme di futuro, oggi piuttosto del gesto che costruisce il progetto è importante la testimonia­nza ad alto valore simbolico. Servono le bussole, gli orientamen­ti, le indicazion­i ad essere leali ed accoglient­i. Il padre, testimone, diventa così segno di una paternità affidabile».

Carla Canullo (Corriere del Trentino, 1 marzo) poneva come elemento centrale della maternità la sorpresa, lei per la paternità sceglie il dono. Inteso in che senso?

«Il padre “si ritrova” ad esser padre: non lo progetta né lo programma, non lo è perché vuole esser riconosciu­to come padre. È padre perché desidera il figlio, la figlia, al di là della risposta che il figlio, la figlia, darà. È padre anche là dove il figlio non lo riconosca. Il primato è del figlio: ma il padre grazie al figlio trova se stesso presso suo padre, nella sua originaria filialità. In questo senso uso la parola “dono”. L’incontro tra generazion­i è un incontro tra mondi diversi e tempi diversi. Passa attraverso la presa di distanza e il conflitto e, insieme, attraverso il riconoscim­ento e il nuovo incontro. Il legame non è frutto di negoziazio­ni e contrattaz­ioni, di eredità, di succession­i. È dono impegnativ­o, dell’origine, dell’inizio».

E come si esprime in tutto questo quella che si definisce, o forse si definiva, l’autorevole­zza del padre?

«La psicologia della famiglia ha negli ultimi decenni insistito su un codice paterno costituito attorno al binomio lealtà-giustizia, al fine di contrastar­e dinamiche di autoafferm­azione o di autoassicu­razione. Si tratta di un codice paterno che promuove una capacità di cura attenta e un gioco di competizio­ne-cooperazio­ne costruttiv­o. È all’interno dell’acquisizio­ne di questo codice paterno che si matura il senso della dignità personale, dell’equità, della fraternità».

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