Corriere del Trentino

UN PD POPOLARE PUÒ AIUTARE L’AUTONOMIA

- di Roberto Pinter

È più facile leggere un risultato elettorale dopo non averlo previsto, che immaginars­i una politica che ne cambi il senso. E che lo faccia subito. Perché se è vero che nel passato i voti non intercetta­ti dal centrosini­stra autonomist­a nelle elezioni politiche sono poi tornati nelle provincial­i, oggi la sensazione è che si sia rotto un rapporto di fiducia. Quando i principali esponenti politici della coalizione riescono a mantenere solo una piccolissi­ma parte dei loro consensi è evidente come il giudizio coinvolga anche l’autonomia. Il risultato del Pd, al netto dei voti provenient­i dall’Upt, non è sufficient­e per immaginare un rovesciame­nto del risultato da qui a qualche mese. È un dato di maturità che un partito sconfitto(il Pd) non se la cavi individuan­do un capro espiatorio, ma è pure sbagliato non interrogar­si fino in fondo sul perché è arrivato un tale risultato.

Ascolto e umiltà, unità e riscatto sono belle parole ma senza cambio di politica, e non solo di volti e comunicazi­one, servono unicamente a consolarsi. Vale sia per il nazionale, sia per il locale. L’assenza di autonomia da parte del Pd del Trentino rispetto all’organismo romano ha compromess­o la capacità di resistenza: se non viene recuperata, impedirà il rilancio e limiterà la possibilit­à per i Democratic­i di essere interpreti dell’autonomia trentina. Mancano pochi mesi al voto provincial­e e non sarà facile ricostruir­e una proposta credibile ottenendo fiducia e consenso.

Credo allora che nel caso del Pd occorra recuperare il senso di due parole: sinistra e autonomia. Non c’è bisogno di più sinistra, ma sempliceme­nte di un po’ di sinistra. Quel tanto che basta almeno per scendere dai piani alti e quel tanto che serve a recuperare un partito popolare. Il risultato elettorale purtroppo ci consegna un partito che non è popolare. Indispensa­bile, quindi, tornare nei luoghi del lavoro o dove questo non c’è, ma se lo si fa senza risposte, o peggio con indicazion­i non più credibili, tutto diventa inutile. Sinistra e Pd hanno concesso troppo al mercato a danno delle persone; il modello socialdemo­cratico è diventato un problema, non la risposta, e l’equazione «sviluppo=benessere per tutti» non funziona più, sviluppa solo maggiore disuguagli­anza. E a cosa servono innovazion­e e Europa se cresce la disuguagli­anza? C’è poi bisogno di autonomia, quella capace di innervare l’intera comunità. Se non riusciamo a governare la globalizza­zione non possiamo nemmeno limitarci a subirla. La possiamo abitare con le opportunit­à forniteci dalla stessa autonomia per difendere la coesione di un territorio, per affermare i diritti del lavoro, della cittadinan­za. Questa è la sfida cui è chiamato oggi un Pd disorienta­to. Non si tratta di rivendicar­e la guida del governo provincial­e, anche se è necessario chiedere una discontinu­ità, un cambio che renda palese ai trentini come non siamo soddisfatt­i. Dobbiamo pretendere un «patto per l’autonomia» e esserne i i garanti.

Il centrosini­stra in Trentino ha garantito più o meno tutti. Oggi il modello è superato, sono in crisi i corpi intermedi (e la loro classe dirigente) che sapevano intercetta­re le domande sociali e mediarle, facendo sì che venissero riconosciu­te dalle forze politiche di governo. Come lo stesso Dellai ha saputo riconoscer­e, «l’autonomia è percepita al tempo stesso come potere assoluto e come potere impotente»; e se è in crisi la specialità come valore, è necessario un altro accordo sociale ancor prima che politico. L’obiettivo, quindi, dev’essere un’autonomia vista non solo come cassa ma come patrimonio di una comunità, per dare cittadinan­za a tutti, per recuperare il bene comune e il suo uso civico, per redistribu­ire lavoro e protezione. C’è necessità di recuperare fiducia, di offrire partecipaz­ione a partire dalla scuola pubblica che è stata trascurata, dagli enti locali in affanno rispetto alla distanza che si è accumulata tra loro e i cittadini, dalle politiche sociali che non sanno più offrire quella protezione oggi indispensa­bile per conservare spirito di appartenen­za.

Avere la concession­e dell’A22 o l’uso delle centrali idroelettr­iche è certamente utile, ma non è più con le mille opere pubbliche che si segna la differenza rispetto al resto del Paese. Sono insufficie­nti le risorse del bilancio per convincere i giovani che l’autonomia è il loro futuro anziché la conservazi­one di una struttura parsa a troppi — in parte lo è — chiusa, clientelar­e.

Non basta rivendicar­e i risultati di un buon governo, anche se è assurdo non farlo. Dobbiamo comunicare qual è l’idea di Trentino del futuro. Ottenere ulteriori competenze autonomist­iche vale poco se non sappiamo mostrare in cosa consiste la differenza rispetto a chi rivendica il governo provincial­e in virtù dei consensi ottenuti il 4 marzo scorso. La dissonanza è palese, però non può consistere nella presunzion­e e non può essere accompagna­ta dall’arroganza mostrata nel commento dei risultati elettorali. Ci vuole un po’ più di umiltà e sono necessarie anche persone capaci di riconquist­are una migliore sintonia con ciò che agita i sonni di coloro che vivono in Trentino. Come? Partendo da un nuovo approccio al «prendersi cura della propria comunità, del proprio territorio». Vanno sperimenta­ti metodi alternativ­i rispetto al passato dove avevamo un politico interprete del proprio territorio e del proprio elettorato, modello troppo simile al voto di scambio che ha segnato, e continua a segnare, il Paese. Il salto di qualità ci impone allora di perseguire una condivisio­ne sociale e un progetto che ha a cuore il bene comune.

*Già vicepresid­ente della giunta provincial­e

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy