«Rigoni Stern» Rumiz ricorda Osvaldo Dongilli
Celebrazioni Dagli scritti della monaca Etheria l’agenda dei riti Palme, salici e ulivi, il digiuno, uova colorate e campane legate
Serata di riconoscimenti e ricordi ieri a Riva per la cerimonia di premiazione del «Premio Rigoni Stern». Paolo Rumiz ha ricordato Osvaldo Dongilli, uno dei fondatori, scomparso lo scorso anno.
Oggi è la Domenica delle Palme. La Domenica delle Palme è il preludio alla Settimana Santa, vertice del tempo pasquale che si conclude con la Resurrezione.
La celebrazione della Settimana Santa è nata nei primi secoli dopo Cristo a Gerusalemme per rivivere i tempi della Passione e poi si è sviluppata, con modalità diverse, in Occidente.
Sulla Settimana Santa possediamo una documentazione molto particolareggiata dovuta a una monaca di nome Egeria, o Etheria, che si recò in pellegrinaggio in Palestina intorno all’anno 400. Secondo gli scritti di questa monaca (Diario
di viaggio della monaca Etheria), le celebrazioni iniziavano il sabato, quando i fedeli si recavano al Lazarium, la chiesa di Betania che ricordava la resurrezione di Lazzaro. La domenica mattina si saliva al Martirium, la chiesa della Passione sul Golgota, e il pomeriggio prima ci si recava al monte degli Ulivi, poi all’Eleona, la grotta dove Gesù ammaestrava gli apostoli, e, ancora più in altro alla chiesa dell’Ascensione, l’Imbomon dove veniva letto il passo del vangelo sull’ingresso del Signore a Gerusalemme. A questo punto, narra la monaca, «il popolo tutto cammina davanti al vescovo al canto di inni e di antifone. Tutti recano in mano rami di palma e di olivo…». Il rito rimanda alla celebrazione della festività ebraica di Sukkot, la «festa delle Capanne», in occasione della quale i fedeli arrivavano in massa in pellegrinaggio a Gerusalemme e salivano al tempio in processione. Ciascuno portava in mano e sventolava il lulav, un piccolo mazzetto composto dai rami di tre alberi: la palma, simbolo della fede, il mirto, simbolo della preghiera che s’innalza verso il cielo, e il salice, la cui forma delle foglie rimandava alla bocca chiusa dei fedeli, in silenzio di fronte a Dio, legati insieme con un filo d’erba.
Ecco il nome di Domenica delle Palme e dell’Olivo.
Nella tradizione popolare i segni si concatenano uno all’altro. In questo caso il segno è l’albero, che a Natale è il grande abete, ricco di luci per la nascita del Cristo, a Pasqua sono le palme, ramoscelli d’ulivo portati in processione e poi collocati nell’angolo buono della casa o fissati, assieme a rametti di salice con le gemme argentate e fiori sullo steccato dell’orto. Un tempo una di quelle gemme veniva ingoiata come antidoto per i mal di gola o infilata nelle orecchie contro l’otite. Anche l’ulivo benedetto veniva portato in casa, cambiandolo con quello dell’anno precedente che veniva bruciato e le ceneri sparse sui campi. Una foglia d’ulivo benedetto veniva bruciata anche durante i temporali per scongiurare la grandine. E, nel progredire del rituale, abbiamo l’albero di Pasqua, rami ornati di uova soffiate e colorate. Arriviamo alla Croce, albero di morte e di vita. Un altro segno è stato «sottratto» al Natale. Nelle valli tirolesi e ladine, ma anche in Trentino, si usava fare una specie di presepe, o meglio di sacra rappresentazione, in tedesco Passionsspiele, origine e matrice del teatro. E, sempre nella linea delle Sacre Rappresentazioni, fino a non molto tempo fa a Bressanone e a Caldaro e in altre località si portava in processione un asino di legno in grandezza naturale, cavalcato, come a Gerusalemme, da un figurante che rappresenta il Cristo. E, sempre a Pasqua, si usava «risuscitare Gesù», sollevando in alto una statua e facendola calare sui fedeli.
Settimana Santa dedicata alla preghiera, alla meditazione in cui ogni giorno ha la sua peculiarità, le sue memorie e le sue dedicazioni. Durante la Settimana Santa, specialmente nelle valli ladine, si recitavano, a seconda dei giorni, molte preghiere: 40 padrenostri la Domenica delle Palme, per ricordare i 40 giorni passati da Gesù nel deserto; lunedì 33 padrenostri, come gli anni di Cristo, martedì 30 paternoster per rammentare i trenta denari per cui Giuda tradì il Cristo,15 padrenostri il mercoledì per ricordare le 15 spine della corona; 12 padrenostri il giovedì in onore dei 12 apostoli, venerdì cinque padrenostri come 5 sono le piaghe di Cristo, 40 di nuovo il sabato per ricordare i 40 giorni passati dal Cristo sulla terra dopo la sua Resurrezione. Oltre a queste preghiere la tradizione vuole che il mercoledì non si potino le viti, perché in questo giorno Giuda si è impiccato a un tralcio di vite. Giovedì Santo, in tedesco Gründonnerstag (giovedì verde), si prepara una minestra con sette o nove verdure. Sempre il Giovedì in tutte le terre ladine si colorano le uova. È una grande festa alla quale partecipano i bambini che decorano le uova con fiori primaverili o li colorano con foglie di prezzemolo o bucce di cipolla. Le uova che le galline depongono il Giovedì Santo sono uova benedette da tenere in gran conto. La Domenica di Pasqua queste uova vengono gettate sopra il tetto. Là dove cadono vengono sepolte e proteggono la casa dal fulmine, dalla grandine e da ogni sventura.
Il Venerdì, in segno di penitenza, si sbrigano le faccende più spiacevoli come pulire le stalle e svuotare le fosse biologiche. Le donne curano gli orti e seminano perché si dice che i semi devono essere messi sotto terra finché il Signore è nella tomba.
Il Venerdì Santo si dovrebbe osservare il digiuno, o comunque - e specialmente - l’astinenza dalla carne. Le campane tacciono e sono sostituite dalle raganelle o battole, strumenti di legno con ruote dentate che annunciavano le funzioni facendo uno speciale fracasso. Alla fine del Venerdì si depone Gesù nel sepolcro.
Il Sabato, un tempo, si iniziava a festeggiare la Resurrezione di Cristo.
Verso il XVI secolo si cominciò con un’anticipazione della Vigilia alla mattina del Sabato Santo, forse perché non era consigliabile stare di notte fuori casa; ad ogni modo questa anticipazione al mattino del Sabato è durata fino agli ultimi anni Cinquanta del XX secolo. Verso le 10-11 del mattino del Sabato si «scioglievano» le campane dai legami messi la sera del Giovedì Santo. Era l’annuncio della Risurrezione.